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I ciclisti sono diventati topi da laboratorio. Sempre sotto analisi per migliorare le prestazioni (L’Equipe)

C’è l’ossessione per le quantità di cibo che riescono a ingerire. Fanno test del Dna, collaborano con aziende che operano nel campo dell’endocrinologia, del diabete

I ciclisti sono diventati topi da laboratorio. Sempre sotto analisi per migliorare le prestazioni (L’Equipe)
Team UAE's Slovenian rider Tadej Pogacar celebrates as he crosses the finish line to win the 8th stage of the 107th Giro d'Italia cycling race, 152km between Spoleto and Prati di Tivo, on May 11, 2024. (Photo by Luca Bettini / AFP)

Oggi i ciclisti assomigliano sempre di più a dei topi di laboratorio. Il ciclismo- scrive l’Equipe -si sta scientifizzando, spesso superando i limiti.

Il giornale francese scrive:

“Dev’essere bello essere un corridore professionista. Dimenticate il cliché di chi mangia tre piselli. Oggi, un ciclista mangia. In un decennio, le quantità ingerite durante lo sforzo sono più che raddoppiate. Da 30 a 50 grammi di carboidrati (carboidrato) all’ora, oggi 100 o addirittura 120 grammi. È l’equivalente di una lattina di Coca-Cola ogni 20 minuti. Tanto che i professionisti non passano più le loro sedute a lavorare semplicemente in certe zone di intensità, a spingere tanti watt, allenano anche i loro stomaci, i loro intestini, a digerire tali quantità, abituare il corpo a bruciare con efficacia tutta questa energia.

I corridori non rodati a mangiare tanto, procedono per gradi all’allenamento. In primo luogo 60 grammi/ora per esempio, e così via. Perché, come riassume Inigo San Millan, ex direttore della performance di Uae, ma sempre nello staff degli allenatori della formazione di Tadej Pogacar, «se un ciclista non ha un buono stomaco, sarà difficile raggiungere il livello più alto». Al contrario, prosegue il basco, «se oggi dicessi ai migliori ciclisti del pianeta di mangiare la metà, ti ucciderebbero». Il ciclismo ha così avviato da due, tre anni la sua rivoluzione della nutrizione, che riunisce sia l’alimentazione e l’idratazione in corsa o durante l’allenamento che quelle di tutti i giorni durante i pasti, nel recupero”. 

I ciclisti sottoposti a frequenti test. La scienza nel ciclismo è un’arma a doppio taglio

In alcuni casi “alcune squadre hanno fatto dei test del Dna ai loro corridori per scoprire se nel loro patrimonio genetico, a livello del loro apparato digerente, della loro flora intestinale, ci sono dei freni alla performance. Altri collaborano con aziende che operano nel campo dell’endocrinologia, del diabete, dei pancreas artificiali, per ottenere un migliore monitoraggio e regolazione della glicemia. Questa nuova passerella è l’ultimo esempio dei ponti che si costruiscono tra i team professionali e la ricerca medica“.

La “scientificizzazione” del ciclismo è un ‘arma a doppio taglio. “Il miglioramento della scienza delle prestazioni è il marchio di una professionalizzazione indispensabile che, da un lato, protegge i ciclisti, la loro salute, una protezione per evitare di mettere i loro organismi in surriscaldamento. E che, d’altra parte, gioca un ruolo nel miglioramento delle prestazioni, la capacità dei migliori di dominare nelle finali, il calo delle insolvenze. Ma restituisce anche l’immagine di topi di laboratorio che girano nelle loro ruote, sotto la supervisione di camici bianchi, di dottori Frankenstein che si destreggiano con i loro dati fisiologici. Soprattutto, rafforza, almeno nella percezione, i dubbi in materia di doping, l’idea di un flirt con i limiti della legalità“.

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