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Il figlio di Guareschi: «Era un influencer ante-litteram, i carcerati lo avevano eletto consigliere»

«Un signore che era dentro per incesto, nell’ora d’aria confidò a mio padre: “Signor Guareschi, quando esco uccido mia moglie così potrò vivere con mia figlia”»

Il figlio di Guareschi: «Era un influencer ante-litteram, i carcerati lo avevano eletto consigliere»

Alberto figlio di Giovannino Guareschi ha appena dato alle stampe Caro Nino ti scrivo, in cui raccoglie e cuce insieme le lettere che il padre (Nino, per i familiari) mandò e ricevette durante la detenzione.

Guareschi entrò nel carcere di Parma il 26 maggio del 1954 per aver pubblicato sul  settimanale che dirigeva (Il Candido), due lettere di Alcide De Gasperi in cui il leader della Dc chiedeva agli alleati di bombardare la periferia di Roma per accelerare la sollevazione del popolo e la cacciata dei tedeschi. Il processo fu sommario e Guareschi decise fu condannato a 12 mesi di carcere per diffamazione e rinunciò a ricorrere in appello

Il premier Mario Scelba cercò di intercedere«Era un duro, Scelba. Ma mia madre non ebbe paura: quando venne a casa nostra, in via Righi, a Milano, lo tenne bloccato per due ore in cucina. Mio padre era nello studio di sopra, al primo piano: le disse di riferire a Scelba che non aveva tempo di riceverlo perché era in ritardo col lavoro e rischiava di trovare chiusa la tipografia della Rizzoli. In realtà, aveva fretta di finire perché doveva andare a pranzo a Roncole dai fratelli Sgavetta, i falegnami che lavoravano all’Incompiuta: gli facevano trovare il merluzzo fritto, che mia madre gli proibiva per via dell’ulcera».

Gran parte della stampa scrisse che Guareschi, in carcere, godeva di enormi privilegi«Il clima era quello: velenoso, ostile. In un’osteria milanese Eugenio Montale brindò alla prigionia di mio padre: anche i grandi poeti hanno le loro défaillance. Il babbo occupava la cella numero 38, che misurava 3metri per 2,80. Non c’era nemmeno il gabinetto, ma il bugliòlo. Lo sostituirono (a tutti) qualche mese dopo con il wc. E mio padre scrisse: “Sono pieno di malinconia, perché l’igiene uccide la poesia”. Poco dopo gli proibirono di scrivere in versi e usare l’ironia, perché “irrispettosa dell’Istituzione carceraria”. Poteva mandare una lettera ogni 15 giorni. Lui alternava famiglia e lavoro: una la spediva a mia madre, che chiamava la “vedova provvisoria”; l’altra ad Alessandro Minardi, che l’aveva sostituito alla guida del Candido».

Com’erano i rapporti con gli altri carcerati? «Ottimi. Mio padre aveva carisma: era un influencer ante-litteram. A tanti detenuti pagava gli avvocati: faceva del bene a fondo perso, perché non credeva nella redenzione. Molti lo avevano eletto loro consigliere. C’era un signore che era dentro per incesto: aveva plagiato la figlia di 14 anni, che gli mandava delle letterine profumate. Nell’ora d’aria confidò a mio padre: “Signor Guareschi, quando esco uccido mia moglie così potrò vivere con mia figlia”»

E suo padre?

«Non poteva usare la morale comune, quella gente non la capisce. Ricorse al paradosso: “Il principio è valido”, gli rispose, “ma deve tenere conto delle conseguenze: se uccide sua moglie le danno l’ergastolo e sua figlia non la vede più”».

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