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Il ginocchio di Djokovic s’è suicidato, ovvero i tifosi non capiscono niente. Mai

Che sia tennis, calcio, politica, o numismatica fa lo stesso: è la realtà che deve conformarsi ai nostri pregiudizi, spesso distorti

Il ginocchio di Djokovic s’è suicidato, ovvero i tifosi non capiscono niente. Mai
Serbia's Novak Djokovic reacts while playing against Italy's Jannik Sinner during their men's singles semi-final match on day 13 of the Australian Open tennis tournament in Melbourne on January 26, 2024. (Photo by Lillian SUWANRUMPHA / AFP) / -- IMAGE RESTRICTED TO EDITORIAL USE - STRICTLY NO COMMERCIAL USE --

Novak Djokovic ha usato il metodo Stanislavskij: s’è così calato nel personaggio della vittima che il suo corpo gli ha creduto. Il menisco mediale s’è auto-lesionato. Il ginocchio destro del più forte tennista del mondo s’è suicidato. “L’ha fatto apposta, dai”, gli rinfacciavano intanto dalle chat i tennisti di quarta categoria. “Finge”. “Che attore, il serbo”. “Ha fatto la spaccata”. “E’ doping!”, ha infine sentenziato l’ultimo a chiudere la fila come nelle parodie di Maccio Capatonda: “So’ stati i zingari!”.

Quando infine il numero 1 del mondo, ormai ex per default, ha sganciato referto medico e comunicato d’addio al Roland Garros, l’Italia s’è fatta distrarre dalle celebrazioni di Sinner nuovo re del tennis. E Djokovic, un attimo prima l’infame che aveva millantato dolore per dieci set pur di sfangarla con Musetti e Cerundolo (fuoriclasse del genere o li inganni o non li batti), è andato in cavalleria. Fuori il secondo, ora il primo ce l’abbiamo noi. L’Italia chiamò. Poo Po Po Po Po Poooo Poo, faceva così no?

I feticisti del tennis lo sanno: Djokovic un po’ se l’è cercata, è un ventennio abbondante che maneggia la psiche altrui per vincere, non gli fosse bastato il talento, il dominio fisico e un’attitudine all’agonismo seconda forse solo a Nadal. Scherza quando le cose vanno lisce, sbraita e sacramenta in tre o quattro lingue quando soffre. Funziona insomma come l’essere umano medio che lo giudica dal divano in eco-pelle. Per cui il suddetto non gli crede più.

Ma non è Djokovic il punto, chiaramente. Il punto siamo noi, i tifosi nell’accezione più vasta che possiamo dare all’etichetta. Del tennis, del calcio, della politica, del ricamo e della numismatica fa lo stesso. Giudichiamo il mondo per percezione nostra, nell’illusione di somigliarci tutti, tutti speciali ma identici, spiaggiati sulle medesime piattaforme. E’ la gran truffa dell’era social: la parità d’ogni genere tranne quelli davvero pari. Il campione e il dilettante, Djokovic e noi.

Sinner, nella sua beatitudine di ragazzo contemporaneo, apolide, onesto lavoratore, mentre sorride al Roland Garros viene festeggiato da milioni di ultrà troppo presi da sé per capacitarsi d’esserlo. Mediamente isterici, ma soprattutto riflessi solo nel proprio specchio. Djokovic? Sta fingendo. Non siamo noi tifosi che non capiamo quasi mai niente di ciò che ci circonda, no: è la realtà che deve conformarsi ai nostri pregiudizi, spesso distorti. Lo sapeva Jep Gambardella, che in Italia ti prendono sul serio solo se ti prendi sul serio. E noi dunque serissimi, ogni volta, a confermare il pavlovismo.

Djokovic intanto s’è già operato, e magari sarà costretto a saltare Wimbledon. Tutto, pur di non uscire dal personaggio. Carmelo “Nole” Bene.

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