A Effe: «Ci ho messo anni a essere me stessa, e forse mi sono accettata solo a 65 anni, dopo essere tornata single, libera dallo sguardo maschile»
Valeria Vignale ha intervistato per Effe Jane Fonda che oggi ha 86 anni ed è un’icona da oltre 50.
«Vivo felicemente sola, e finalmente da single mi dedico a tutto quello che mi interessa e faccio molte più cose di prima. Mio padre si era sposato cinque volte, io ho avuto la saggezza di fermarmi a tre»
È vero che avete avuto un rapporto difficile?
«Da bambina lo sentivo criticare le mogli per l’aspetto o il peso, cosa che mi ha causato molti complessi. Avrei tanto voluto sentirgli dire che mi trovava bella. Allora educavano le bambine a essere piacenti, e si pensava di poter essere amate solo se eri uno “zuccherino”: docile, sorridente, mai ambiziosa o aggressiva. Ci ho messo anni a essere me stessa, e forse mi sono accettata solo a 65 anni, dopo essere tornata single, libera dallo sguardo maschile».
Ha un curriculum di oltre 60 titoli compreso Book Club – Il capitolo successivo, uscito l’anno scorso, e partecipa anche al docufilm This is me… now di Jennifer Lopez in cui parla d’amore insieme ad altre star (lei appare vestita da Sagittario, il suo segno zodiacale)
Negli Anni ’60 lei era già una celebrità. Come ricorda i primi passi nel mondo del cinema?
«Sa che a volte non vorrei ricordarli per niente?»
E perché?
Perché io all’inizio ho odiato Hollywood. Avevo studiato all’Actors Studio di Lee Strasberg a New York. Ci avevano insegnato che non importava essere belli o brutti, che contavano solo l’autenticità e le emozioni, la capacità di scavare in un personaggio e restituirlo il più realmente possibile. Era per questo che mi ero convinta a fare l’attrice»
Poi cos’è successo?
«Sono andata a Los Angeles ed era tutto al rovescio: lì guardavano innanzitutto l’aspetto e la taglia del reggiseno. Se non ho lasciato subito perdere è solo perché avevo bisogno di lavorare, ma sono stati pochi i film che mi convincevano davvero, per esempio A piedi nudi nel parco con Robert Redford, finché non ho iniziato a produrre le storie che mi interessavano»