Dai Mondiali del 2006 è cambiato tutto, non c’è più allegria. La Germania è divisa, in crisi, e così l’Europa. Il calcio, al solito, è un termometro della realtà
A Monaco cominciano gli Europei. Apre la Germania. E ovviamente tutta la stampa sportiva internazionale si dedica all’analisi dei “padroni di casa”. Ma un po’ di giornali analizzano anche e soprattutto il contesto politico tedesco. In particolare El Mundo e El Paìs, con due bei pezzi firmati da Abraham P. Romero e Fernando Aramburu (lo scrittore di “Patria”).
El Mundo sottolinea le differenze con i Mondiali tedeschi del 2006, e “quel legame costante che la realtà politica e sociale del Paese ha avuto con il pallone. Il pallone è servito a spiegare la divisione e l’unione del popolo tedesco“.
“La sua rosa di convocati comincia a sintetizzare il problema nazionale. Solo 3 dei 26 calciatori sono nati nella parte orientale: Kroos (Greifswald), Beier (Brandeburgo) e Andrich (Postdam). Perfetto esempio delle profonde differenze tra le due metà. Uno studio riportato dalla Reuters afferma che il 57% dei tedeschi che vivono nell’Est si sentono cittadini di seconda classe e solo il 38% ritiene che la riunificazione sia stata un successo”.
“Anche l’elenco degli stadi riassume questa disuguaglianza. Dieci città ospitano il torneo e solo una, Lipsia, è a est. Berlino ospita la finale, ma allo Stadio Olimpico, situato nella vecchia zona Ovest. Non è che la Federazione o la Uefa non abbiano voluto scegliere un’altra città, è che non si è presentato nessun altro nonostante alcune, come Dresda, abbiano stadi con più di 30.000 spettatori. Cosa sta succedendo? Forse questo sentimento di abbandono è uno dei motivi del trionfo dell’estrema destra nella Germania dell’Est alle ultime elezioni europee. AfD ha ottenuto il 28% dei voti nelle regioni più importanti dell’Est, mentre nell’intero Paese è rimasto al 15%. Molti cittadini dell’Est si sentono trattati con condiscendenza”, spiega Carsten Schneider, del partito socialdemocratico, che in un’intervista a DW ammette che ci sono “differenze negli stipendi e nell’assistenza sanitaria”. I dati non mentono: secondo un’analisi dell’Allensbach Institute, il 71% delle persone in Occidente si sente tedesco. All’Est il 44%.”
E ancora: “uno studio dell’Università di Lipsia del 2020 ha concluso che solo una posizione politica di alto livello su cinque è ricoperta da tedeschi dell’Est e che solo l’1,7% delle posizioni di leadership nella sfera militare, legale e commerciale appartiene a persone provenienti da questa zona.
“La divisione Est-Ovest resta palpabile: è politica, economica e anche psicologica. In ogni caso, il calcio è servito ad approfondire questa divisione, perché i club dell’Est, carichi di tradizione, continuano a lottare per ritrovare il loro antico splendore, mentre la squadra che si ritiene rappresentante dell’Est, il Lipsia, è considerata da molti un’anomalia artificiale e per certi versi molto occidentale”, riflette lo storico e scrittore Ulrich Hesse.
Secondo El Mundo il calcio spiega sempre moltissimo, non è mai solo pallone. “Il Mondiale del 2006 e questo Europeo sono lo stesso grido di unità lanciato nel 1974 e nel 1988, quando la Germania Ovest ospitò i due tornei. A ciò si aggiungono i Giochi di Monaco del 1972”. “Gli eventi del ’72 e del ’74 sembravano essere un passo verso la normalità e furono un grande successo diplomatico”, spiega Hesse. “Hanno unito i popoli, ma in una sola direzione, verso l’Occidente. La Germania Ovest vinse la Coppa del Mondo del 1990 nel mezzo dell’euforia della riunificazione e rafforzò il sentimento di unità, ma era una falsa sensazione perché la realtà si rivelò molto più dura”.
“Diciotto anni dopo la Germania, che non vince il torneo dal ’96, si trova ad affrontare la stessa sensazione. Il muro invisibile”, conclude El Paìs
Anche Aramburu sul Paìs, che vive in Germania, nota che “il contrasto è notevole. Nel 2006 la Germania organizzò i Mondiali di calcio in un’atmosfera di gioia collettiva, in tempi di prosperità economica e di elevata autostima nazionale”. La crisi finanziaria internazionale del 2008 era lontana. “Il panorama è cambiato in senso negativo. In Germania mai prima d’ora avevo percepito così chiaramente una sorta di malinconia generalizzata, dalla quale non è immune nemmeno l’Europeo che inizia oggi a Monaco. Il torneo è sì nelle pagine sportive e nei tg, ma non nelle strade come in quella colorata estate del 2006. Le ragioni di questa disaffezione sono molteplici e risalgono a qualche anno fa, aggravate dalla situazione economica e dalla la situazione sociopolitica nazionale ed europea”.
Aramburu che dice che “il mito tedesco del paese dei poeti e dei filosofi (Dichter und Denker), della nazione disciplinata che funziona come un orologio, operosa, innovativa, affidabile, conosciuta e ammirata per lo spirito organizzativo, il lavoro metodico e la puntualità, trova oggi soprattutto posto nel giudizio di chi non conosce il suo stato attuale”.
Ma “il problema della Germania è il problema dell’Europa e può essere chiamato con nomi diversi. Ad esempio, decadimento“.