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L’ossessione di Conte per il mercato, una vita a litigare coi club: è davvero cambiato per il Napoli?

Dal Bari al Tottenham, un romanzo di alibi e sfoghi. Per i tifosi è una fideiussione: garantisce investimenti. Ma quando parla di mercato non è mai un buon segno

L’ossessione di Conte per il mercato, una vita a litigare coi club: è davvero cambiato per il Napoli?
Db Milano 09/11/2019 - campionato di calcio serie A / Inter-Hellas Verona / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Antonio Conte-Gabriele Oriali

Abate, Floro Flores, Tiribocchi, Brienza, Zalayeta, Cerci, Obodo, Cribari. Antonio Conte prende carta e penna – allora usava ancora – e consegna la sua lista della spesa per il Bari in Serie A a Giorgio Perinetti. Matarrese per la promozione gli ha appena triplicato lo stipendio, promettendogli un tesoretto da 20 milioni per “fare la squadra”. Al 23 giugno gli comprano Alvarez e Carrobio. E per giunta vendono Guberti e Barreto. Un mese dopo il rinnovo, Conte parte per le vacanze e non torna più. “Avevo chiesto dieci giocatori nuovi ma non straordinari, gente che veniva dalla B o da squadre retrocesse dalla A”.

Conte e il mercato sono una coppia. Un pacchetto. È uno dei motivi per cui le piazze s’infiammano appena firma un contratto: “se ha accettato è perché ha avuto rassicurazioni sul mercato”. Per i tifosi Conte non è solo un grande allenatore, è una fideiussione: garantisce dispendio di risorse, investimenti, sforzi. E la sua carriera parla. O, meglio, parla lui nell’arco d’una lunga carriera di tremendismo mediatico. Dal 2009 in poi, per facilità storiografica datiamo l’inizio al Bari. Tutto ciò che ne è seguito è un tortuoso viaggio tra richieste e rinfacci, alibi, sfoghi a mezzo stampa, e soprattutto tracce: quando Conte comincia a parlare di mercato non è un bel segnale. E’ come il vento dell’est per Mary Poppins: qualcosa sta per succedere. È un’arma come un’altra per governare il caos, producendo altro caos.

La lista dei giocatori acquistati da e per Conte su Transfermarkt è lunga otto pagine. Loro retrodatano la ricerca al 2006, all’Arezzo. Otto squadre, con intervallo in Nazionale. Il più costoso è un nome attualissimo: Lukaku, il suo feticcio, pagato dall’Inter al Manchester United 74 milioni di euro. Poi Morata per il suo Chelsea dal Real Madrid per 66 milioni (nel 2017), Richarlison e Romero al Tottenham per 57 e 52 milioni a fine agosto del 2022. Ma non sono i nomi, il punto. “Top o bass player, chissenefrega” direbbe lui.

Quando Conte arriva all’Atalanta il mercato è già chiuso. E quando la lascia non ha ancora aperto. A Siena, sempre con Perinetti uomo-mercato, non è una promozione “traumatica”, perché Conte è già proiettato verso la Juventus della rifondazione.  La controparte è il tandem Marotta-Paratici. La Juve, premette, “ha bisogno di diversi giocatori. Per essere competitivi servono diversi innesti. Quanti? La società lo sa, e poi basta fare due conti”. Conte non è uno che parla e basta. Pizzica, titilla, punge. In amichevole fa giocare Pasquato a sinistra, per mandare un messaggio. In rosa ha esterni De Ceglie, Grosso, Pepe, Krasic, Lichtsteiner, Giaccherini ed Estigarribia. La stampa gli fa da sponda: il tormentone dell’epoca è il “top player”, lui sbotta:Chissenefrega se è un top player o un bass player. L’importante è che arrivino, che sappiano giocare a pallone e che abbiano fame”. Arriva Eljero Elia. Uno dei pochissimi sfondoni della lunga carriera di Marotta.

È appena autunno quando già recrimina: “Non è che in estate abbiamo preso Walcott, Nani o Tevez…”. Ha pareggiato col Catania. È un riflesso condizionato.

Intanto cambia modulo e vince lo scudetto (a proposito di chi ne ignora le camaleontiche doti da apprendista metodista, qui c’è tutto), però salta tutto il mercato successivo per la squalifica di 4 mesi per calcioscommesse. Torna per la riparazione di gennaio, e per sostituire Bendtner pesca Anelka in Cina. Sono tempi quelli in cui Conte si lamenta e vince, vince e si lamenta. Dice che “Cavani e i marziani ce li hanno altrove”, e quando perde in Champions con il Bayern Monaco trova una metafora succulenta: “Loro stanno costruendo la cima del grattacielo, noi siamo ancora con la paletta e il secchiello”.

Il fatto è che la dirigenza della Juve usa la paletta come una ruspa. Gli vendono Giaccherini al Sunderland e Matri al Milan all’ultimo giorno di mercato. Conte non molla niente, nemmeno Matri. Potesse, vorrebbe rose da 60 giocatori. “Vendendo Matri abbiamo rinforzato il Milan. E vendendo Giaccherini ci siamo indeboliti. Mi piacerebbe trovarmi una volta dalla parte opposta e spendere 100 milioni su un giocatore”. Seconda metafora da highlights: “Giocarcela con il Real? È inutile prendersi in giro: in questo momento c’è un carro armato con di fronte un’automobile.

La Juve vince lo scudetto con 102 punti, ma Conte è caldissimo sul fronte metafore. E’ il momento di “Quando ti siedi in un ristorante dove si pagano cento euro, non puoi pensare di pagare con dieci euro”. Lascerà il ritiro successivo al secondo giorno. Si racconta che la goccia che fa traboccare il vaso stracolmo sia nientemeno che il mancato acquisto di Cuadrado.

Al Chelsea Conte sguazza: sul mercato spendono 400 milioni di euro. Di cui 25 per Zappacosta. I tifosi la prendono con ironia, scatta il tormentone “Who is Zappacosta?”. Ma Conte alle prime difficoltà si rifugia, guarda un po’, nel mercato. Dice che “si fa fatica anche a fare turnover, non possono giocare sempre gli stessi. Ho la panchina corta e per questo la notte non dormo. E poi, non bastasse: “Devo imparare parlando con altri manager abili nel convincere le proprie società a investire nei top player”. Viene esonerato a fine campionato.

La ripartenza all’Inter ricorda un po’ questi giorni di trambusto napoletano. E’ trascinante, per inerzia scuote tutto l’ambiente. Compra Lukaku a peso d’oro, ma vorrebbe anche Dzeko. A gennaio è in testa, ma si duole: “La Juve si rafforza, noi no”; “non ci sono tanti soldini”: il direttore è stato molto chiaro: se ne arrivano due ne arrivano due, se ne vanno via tre ne arrivano tre. È matematica, stramatematica.

I numeri dicono altro, però. Tra il 2019/20 e il 2020/21 l’Inter spende circa 350 milioni di euro sul mercato per i vari Lukaku, Barella, Hakimi ed Eriksen: il mercato della stagione 2019/20 (253 milioni) è il più ricco di sempre del club. Il monte ingaggi schizza a 153 milioni nel 2020/21, e un costo rosa a quota 290 milioni. Passa la pandemia, con tutta la crisi annessa. Lui vince lo scudetto e poi rescinde con buonuscita. Senza mercato non può esserci Conte.

La storia si ripete al Tottenham. Nelle due finestre del 2022 arrivano Bentancur, Romero, Bissouma, Richarlison, Spencer, e Kulusevski: 190 milioni. Le cose non vanno e lui molla scaricando le colpe sui giocatori: “La storia del Tottenham è questa, da 20 anni non hanno mai vinto qualcosa”. Carragher sul Telegraph commenta così: “I manager che credono che sia il loro lavoro sfidare la dirigenza non porteranno mai stabilità a lungo termine. Il regno degli Spurs di Conte è trasceso in una masterclass sul trasferimento di responsabilità ad altri”.

La narrazione del “nuovo” Conte, per ora, punta su altro: è cambiato, dicono. Ha accettato un ridimensionamento delle prospettive di mercato. E poi la rosa attuale gli vestirebbe bene. Si dice persino che De Laurentiis abbia pagato il conto del ristorante da 100 euro, con dieci euro.

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