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Max Giusti: «De Laurentiis? Non dico che imitarlo è stata un’esperienza mistica ma…»

Al Corsera: «Ci siamo frequentati anche per motivi di lavoro, è una delle persone con l’eloquio più interessante e affascinante che abbia mai incontrato»

Max Giusti: «De Laurentiis? Non dico che imitarlo è stata un’esperienza mistica ma…»

Max Giusti: «De Laurentiis? Non dico che imitarlo è stata un’esperienza mistica ma…». L’imitatore intervistato dal Corriere della sera.

L’Aurelio De Laurentiis di Max Giusti ha un linguaggio che mescola il forbito e lo scurrile, mentre il canovaccio ha due punti fermi: la telefonata del maggiordomo Adalberto e l’aneddoto improbabile sulle star americane in cui compare, immancabile, Boldi («ero a cena a Hollywood con Spielberg, Polanski e Massimo Boldi»; «il ruolo del mignottone in Pretty Woman era per Massimo Boldi, non per Julia Roberts»). Un’imitazione straordinaria che con quella di Alessandro Borghese è stata uno dei momenti virali del Gialappashow. «In realtà però non volevo farle, non pensavo a uno sbocco televisivo. Sono stati il mio team di lavoro, gli amici di Banijay (che produce il programma) e la Gialappa a convincermi».

Come è nato De Laurentiis?

«Mi è capitato di incontrarlo diverse volte in vacanza, abbiamo fatto anche alcune riunioni insieme per un progetto mai nato. Credo che sia una delle persone con l’eloquio più interessante e affascinante che abbia mai incontrato. Uscivo da quelle riunioni e cazzeggiando con gli amici mi veniva naturale imitarlo».

L’idea vincente?

«Molti si aspettavano che parlassi di calcio, invece mi sono concentrato sulla storia di un produttore che sta da 50 anni nel cinema. Mi piace l’alto-basso che solo Boldi può darmi, lui non lo tratta male, ma lo inserisce ovunque. Posso dire una cosa brutta? È la prima volta in vita mia che quando mi rivedo rido pure io. So che non si fa. Non sono così pieno di me».

La voce, il trucco: siete identici.

«La prima volta che mi sono trasformato in lui ho avuto un brivido perché ho capito che mi ero completamente annullato, non dico che è stato come vivere un’esperienza mistica perché se no sembro matto. Il fatto è che divento una terza entità: non sono né il vero De Laurentiis, ma non sono più neanche io; sono un connubio tra me e quello che immagino di lui».

Chi si arrabbiò?

«Mastella perché lo imitai da Santoro. Lui era ministro della Giustizia e mi chiamò dalla batteria del Senato: finché lo fai a Quelli che il calcio va bene, ma da Santoro no».

«I miei lavoravano sempre. Anche sabato e domenica e io rimanevo da solo tantissime ore. Credo che la comicità sia stata un modo per attirare l’attenzione del mondo nei miei confronti. Se ero simpatico venivo accettato, e questo ha aperto il mio modo di comunicare. L’imprinting è arrivato da Non Stop: ero pazzo della Smorfia, dei Gatti di Vicolo Miracoli, di Verdone».

A «Quelli che il calcio» Crozza la boicottava.

«Sì, non voleva che entrassi nella sala degli autori».

Di cosa aveva paura?

«Bisogna chiederlo a lui. Il regista Paolo Beldì mi incoraggiava, mi diceva: cerca di capire. Io stavo lì dal venerdì mattina, ondeggiavo nei corridoi e aspettavo. I miei pezzi gli autori li correggevano solo il sabato alle sette di sera».

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