Al Corriere della Sera: «Ai miei tempi c’era meno paura. Per tanti anni abbiamo prodotto difensori e centrocampisti di buon livello, ma ci siamo persi gli attaccanti»
Prandelli è stato intervistato dal Corriere della Sera. L’ex ct della Nazionale ha parlato della nuova impronta più offensiva dell’Italia e della mancanza di fiducia nei giovani calciatori.
Cesare Prandelli le piace il calcio relazionale di Spalletti?
«Moltissimo. Ma non è tanto diverso da quello che facevamo noi. Cambia la terminologia, i concetti di fondo però restano i soliti. Con una differenza…».
Quale?
«La globalizzazione. Le tradizioni sono svanite. Prima ogni Nazionale aveva caratteristiche precise, un’identità che si tramandava nel tempo. Adesso, soprattutto dal punto di vista tattico, l’evoluzione ha cancellato le differenze. Si gioca un calcio totale, più semplice da leggere, meno da prevedere. Penso alla Spagna, regina del tiki-taka, che adesso palleggia di meno e punta a verticalizzare, sfruttando le qualità di due ragazzini formidabili come Yamal e Nico Williams».
I nostri a sedici anni non giocano neppure in Primavera…
«Serve più coraggio e fiducia, non dobbiamo limitare il talento. I ragazzi bisogna lanciarli e difenderli quando hanno inevitabili cali. Ai miei tempi c’era meno paura e più pazienza. Per gli stranieri ora è più facile: non hanno pressione. I nostri, invece, si sentono subito sotto esame. E poi, nei settori giovanili, abbiamo il vizio di ingabbiare il talento. Per tanti anni abbiamo prodotto difensori e centrocampisti di buon livello, ma ci siamo persi gli attaccanti».
Come è possibile?
«Gli chiediamo di giocare per la squadra, fare tagli, sponde, triangolazioni, arretrare per favorire gli inserimenti. Tutto tranne i gol. Hanno perso l’abitudine a muoversi dentro l’area».
Prandelli: «Spalletti è un allenatore di altissimo livello, è bravo a comunicare le priorità del gruppo»
Le piace come sta lavorando il c.t.?
«È un allenatore di altissimo livello e soprattutto ha lo spirito giusto per guidare l’italia. È spinto da un grande entusiasmo, ha rispetto e amore per la maglia, è bravo a comunicare i suoi stati d’animo e quelle che devono essere le priorità del gruppo. Quando sei in Nazionale non devi preoccuparti solo di allenare, ma rappresenti un Paese. Sei coinvolto, anche emotivamente. Un’esperienza bellissima da vivere tutti insieme. Per me sono stati anni indimenticabili».
Tornando al gioco, che differenze ci sono tra la sua Italia e quella di oggi?
«Luciano cerca di non dare punti di riferimento e di rubare il tempo agli avversari, noi con la costruzione miravamo a liberare Cassano sulla trequarti. Spalletti mira al controllo del gioco, noi cercavamo subito di verticalizzare. Spero che la sua Nazionale possa crescere in fretta come è cresciuta la mia in Polonia e Ucraina».
Spalletti ha scelto due difensori abili a impostare. Sono finiti i tempi dei difensori di ferro come Nesta, Cannavaro e Chiellini?
«Andiamoci piano con i giudizi definitivi, vediamo quando troveremo squadre che hanno centravanti veri».