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Quando Spalletti si prese del catenacciaro da Bianchi e Sarri lo chiamò ministro della difesa

Non ci rassegniamo all’idea che un uomo intelligente possa essere diventato un profeta del “mio calcio”. Un contadino non può essere integralista

Quando Spalletti si prese del catenacciaro da Bianchi e Sarri lo chiamò ministro della difesa
Napoli 19/05/2019 - campionato di calcio serie A / Napoli-Inter / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti

Quando Spalletti si prese del catenacciaro da Bianchi e Sarri lo chiamò ministro della difesa

Quest’articolo nasce da una ferma volontà, quella di non rassegnarsi all’idea che un uomo intelligente come Luciano Spalletti possa essere diventato un integralista del pallone, uno dei profeti del “mio calcio”. Uno di quelli che giocano a prescindere dall’avversario. Ricordiamo ancora uno Spezia-Napoli con Osimhen che si divertì a giocare contro uno di questi allenatori che affrontò il Napoli con la difesa altissima. A fine partita Victor pensò: “non possiamo giocare sempre contro squadre così?”. Una follia possibile solo in questo sport. In un qualsiasi circolo di tennis, un giocatore che si ostinasse a giocare sul punto forte dell’avversario per poi difendersi dicendo “ma io non so giocare diversamente”, sarebbe trattato come un minus habens e accompagnato immediatamente alla porta.

Non ci arrendiamo perché un contadino, un uomo che lavora con la natura e con gli animali, non può mai abbracciare l’integralismo che è per forza di cose sinonimo di ottusità. La natura insegna che è la capacità di adattamento la risorsa più importante delle creature viventi. È attraverso la capacità di adattamento dei famosi fringuelli delle Galapagos che Darwin diede vita al darwinismo. Noi abbiamo memoria di un altro Luciano Spalletti, quello pre-scudetto del Napoli. L’uomo che ha stravolto e allungato la carriera di Totti facendolo giocare centravanti. Che ha regalato alla Nazionale del 2006 Perrotta che senza il tecnico di Certaldo sarebbe stato un giocatore normale per non dire modesto. Gli esempi sarebbero innumerevoli: Brozovic e altri.

Spalletti e la conversione al calcio new age

Lo scudetto col Napoli ha innescato la fase da predicatore del signor Luciano che si è messo alla testa di questa corrente (ahinoi maggioritaria) che ha scambiato il calcio per un movimento politico-filosofico dal vago sapore new age. In giornate calcisticamente complesse preferiamo rifugiarci nell’altro Spalletti, quello che a Napoli nella stagione 2017-18, da allenatore dell’Inter, si beccò persino del catenacciaro da Ottavio Bianchi.

Venne a giocare contro il Napoli di Sarri quello del secondo posto con lo scudetto perso in albergo. Era ottobre. Prima dell’incontro, alla vigilia, Spalletti fece i complimenti al collega toscano. Disse che se avesse continuato a lavorare in banca sarebbe diventato ministro dell’Economia. La partita finì 0-0. Il Napoli attaccò. In conferenza Sarri snocciolò i soliti dati branditi dai numerologi del pallone: «75% di supremazia territoriale, abbiamo concesso all’Inter solo due ripartenze, ci siamo imbattuti in un portiere straordinario (Handanovic, ndr)» eccetera. E poi il signor Maurizio rispose così a Spalletti: «Se io sono il ministro dell’Economia, lui è il ministro della Difesa».

Ma fu la risposta di Spalletti ad aprirci i polmoni: «Se ha detto che mi difendo, va bene. Lui mi costringe a difendermi; lui attacca, io mi difendo». Poesia per l’intelligenza umana. Poi da toscano aggiunse: «Qualche volta vo’ all’attacco perché l’anno scorso sono arrivato davanti a lui». Ma era uno Spalletti diverso. Non si sentiva investito della missione di insegnare e predicare il calcio e l’armonia. Era ancora legato al principio logico: devo fare ciò che è nelle mie possibilità per non perdere e magari per vincere. Quella partita in difesa gli costò non poche critiche. Persino da Ottavio Bianchi che alla Gazzetta dichiarò: «L’Inter non penso sia ancora all’altezza per vincere lo scudetto, ma l’appetito vien mangiando: è una squadra solida e organizzata con un grande finalizzatore. Tuttavia se Icardi non viene servito, è difficile che possa fare gol. Oggi c’era catenaccio camuffato, passaggi indietro, se lo avessimo fatto ai nostri tempi ci sarebbero state polemiche».

I saggi consigli di Italo Cucci

Repubblica gli dedicò un articolo titolato “Catenaccio amore mio, la metamorfosi di Spalletti”. Un elogio della forza difensiva dell’Inter. Oggi Spalletti querelerebbe. L’articolo cominciava così:

“Erano due anni, per l’esattezza 734 giorni, che all’Inter non si vedeva uno 0-0, all’epoca fu contro la Juventus, a San Siro. D’altronde il «ministro della Difesa» (Sarri dixit), al secolo Luciano Spalletti, ha ben scelto la squadra di sottosegretari e funzionari, tutti fedeli alla causa, e sta tirando su un’Inter pienamente in linea con la tradizione, quella degli Herrera, dei Trapattoni, dei Mourinho, gli allenatori che più hanno dato al club in termini di vittorie e di storia”.

Per dirla alla Guccini, che nostalgia per quando Spalletti insegnava anche un calcio diverso. Ci sentiamo di chiudere con le parole di Italo Cucci che di pallone ne ha visto e oggi sul Corriere dello Sport, col garbo che lo contraddistingue, dopo aver unito Guicciardini e Bearzot, ha scritto:

Però ci sono i Sapientoni e gli Acrobati che attribuiscono a Spalletti – il quale non ne ha bisogno – virtù taumaturgiche purtroppo intercettate dal Demonio. Dicono che egli abbia un Gioco Speciale per questa Nazionale e che non lo tradirà neppure in caso di altre diavolerie spagnole perché – se ben capisco – trattasi della Verità Rivelata. Finalmente. Perché prima di lui, purtroppo, la panchina azzurra è stata evidentemente occupata da mestieranti e favoriti dal destino. (…) Dico a Spalletti – che ai tempi della Roma mi redarguì benevolmente perché avevo pubblicamente lodato lo spunto ‘olandese’ del suo gioco – di stare attento ai laudatores d’attualità che en cas de malheur lo abbandonerebbero al suo destino. Fermo restando ch’è meglio esser soli che male accompagnati.

Spalletti abbandoni i radical chic del pallone. E torni contadino.

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