Ai canali social del club: «È stata la condivisione di una cosa che ho realizzato io con i miei compagni in campo e che ho sentito come di tutti»
Raspadori: «Il gol alla Juve l’ho percepito come una gioia di tutti quelli che aspettavano da tanto lo scudetto» (VIDEO)
Raspadori è il protagonista del quinto episodio di Drive&Talk, il format del Napoli dove i giocatori vengono intervistati mentre sono alla guida.
Il video dell’intervista è sul canale youtube del Napoli.
Com’è la tua routine?
«In macchina è il momento delle chiamate. Chiamo a casa, a mia madre, dipende. E’ la prima cosa che faccio. La mattina faccio colazione al campo, adesso ho portato fuori il cane. Poi mi preparo, mi vesto e mi dirigo al campo per mangiare qualcosa».
Sei di un paesino vicino Bologna.
«Sì, sono di Castel Maggiore. A 10 anni e mezzo sono andato al Sassuolo, mio fratello giocava lì da un anno. Abbiamo fatto diversi anni là, ci portava mio nonno con il pullmino. C’erano diversi ragazzi di Bologna che venivano lì e abbiamo organizzato grazie anche alla disponibilità di mia madre e mio nonno che era già in pensione».
Tu e tuo fratello avete iniziato insieme
«Lui ha iniziato da piccolissimo e io appena sono stato in grado di rimanere in piedi ho iniziato a giocare con lui e con papà».
Ti ispirava, era un esempio
«Sì, sia lui che mio padre. Essendo più grandi mi sembravano molto più forti e cercavo di imitarli, soprattutto mio fratello».
Raspadori chiama suo fratello Enrico, che testimonia un aneddoto su Giacomo.
Raspadori inizia il racconto: «Fino ai cinque anni ho sempre calciato solo di sinistro, così come scrivevo, con la sinistra. Mi dava fastidio che lui scrivesse e calciasse bene con la destra e nella mia testa è scattato il meccanismo per cui dovevo fare tutto come lui. Così in poco tempo sono diventato quasi meglio con il destro che con il sinistro».
Enrico sulla rivalità con il fratello: «Si vedeva che già da piccolo aveva dedizione e passione infinita, che lo hanno portato fin da piccolo ad avere voglia di imitarmi. Ma io non ho nessun merito, è lui che da piccolo aveva questa dedizione che lo ha portato dov’è oggi e a calciare con il destro».
Dopo la chiamata, l’intervista è proseguita regolarmente.
Sei stato solo al Sassuolo e al Napoli quindi.
«Nel calcio professionistico sì, poi prima ho giocato nella squadra del mio paese».
Sei 2000, hai già raggiunto due obiettivi fissi: l’Europeo nel 2021 e lo scudetto al Napoli. Ieri ho pensato al gol alla Juve.
«Il gol alla Juve è stato un momento che, oltre a livello personale, l’ho percepito come un momento di tutti coloro che aspettavano così tanto a Napoli. E’ stata la condivisione di una cosa che ho realizzato io con i miei compagni in campo e che ho sentito come di tutti. Anche Kvara si è reso conto che è stato il momento, secondo lui, abbiamo portato lo scudetto a Napoli».
Ho una domanda a riguardo perché mi ricordo quando stavamo tornando sull’autobus e parlare di tutto stava succedendo. Ho detto: “Pensate se vinciamo lo scudetto”. Qualcuno mi guardò e disse: “Forse non hai capito. Oggi abbiamo vinto lo scudetto”. Era quello che non capivo o era quello il momento…?
«No, penso che quello fosse il momento che abbiamo davvero capito, non che l’avessimo vinto, ma che eravamo ad un passo e che ora dipendeva tutto da noi. Quella vittoria e avere tutte quelle persone lì quando siamo tornati, probabilmente erano tutte le persone, questo ci ha fatto pensare che ce l’avevamo fatta perché sembrava che stessimo tornando con il titolo. Indipendentemente da quanto venga sentito quel match per le persone qui, sembrava davvero che ce l’avessimo fatta. Quindi, a parte questo obiettivo che mi rende felice, penso che abbia reso felici anche tutti gli altri».
Ti capita di ripensarci?
«Quei momenti lì ti sembra di riviverli, se vedi un video o una foto riprovi quelle sensazioni».
Com’è stato l’impatto con la città?
«Super positivo, c’è un modo di vivere differente. Vengo dalla campagna, forse la cosa più difficile è stata abituarsi a una grande città come Napoli, che sembra caotica, ma è un caos organizzato. La gente di Napoli ti rende tutto più semplice grazie alla cordialità. Si vede questo amore per la vita che ti aiuta in tutto».
Com’è vivere vicino al mare?
«Mi fa ancora strano. Il clima, il sole e il mare ti danno un’energia diversa. Sicuramente ti dà quella sensazione di spensieratezza».
Sei iscritto all’università.
«Ci sono tanti giocatori che hanno fatto questa scelta. In tanti stanno capendo che l’aspetto calcistico non toglie nulla allo studio».
Raspadori: «Lo sportivo ha una carriera breve, avere una seconda strada aiuta»
Io però percepisco una difficoltà logistica. Come fai a conciliare studio e lavoro?
«La prima cosa è la volontà. Se c’è la volontà una soluzione si trova. Chiaramente non è semplice, ma nella vita alcune cose devono essere felice. Io penso che sono due cose che non tolgono nulla l’una all’altra, anzi ti danno qualcosa in più. Non è che se ti prendi due ore di studio al giorno ti alleni peggio o viceversa. Nella maggior parte dei casi uno sportivo ha una carriera relativamente breve, se uno ha una seconda strada, può essere solo un aiuto nel momento in cui non ci sarà più la tua prima passione».
Gli sportivi conoscono lo spirito del sacrificio.
«Credo che niente mi abbia dato nella mia vita, oltre alla mia famiglia, come lo sport. E’ stata la miglior scuola di vita, ti insegna lo spirito di sacrificio e il rispetto. Poi tante volte si può pensare che il calciatore può non essere intelligente o maturo, ma per i percorsi che ci sono dietro a questo ambiente, ci sono tante persone che arrivano a maturare vivendo determinate situazioni».
Qual è la caratteristica che ti contraddistingue come persona?
«La passione che metto nelle cose».
La tua ambizione come persona?
«Essere visto dagli altri con gli stessi occhi con cui vedo i miei genitori. Li ho sempre visti come un punto di riferimento, sono persone disposte ad aiutare chiunque».
Riesci a immaginare che tipo di papà sarai?
«Premuroso, attento a cercare di riportare ciò che mi è stato insegnato».
Sull’incontro con la fidanzata Elisa.
«Ci siamo incontrati a Riccione, che è sulla costa della nostra regione. Io e un amico stavamo cercando di organizzare una partita di beach volley e avevamo bisogno di una persona in più. Non conoscevo Elisa ma l’avevo vista in giro per la spiaggia nei giorni scorsi. Quindi diciamo che l’avevo notata. E allora ho pensato di cogliere l’occasione, visto che eravamo a corto di giocatori. Vado a chiederle se vuole giocare. Quindi è grazie al beach volley che ho conosciuto Elisa».
Se non avessi fatto il calciatore?
«È una domanda maledetta perché potrebbe sembrare strana ma la mia passione per il calcio è sempre stata così forte che è come se avessi sempre sentito quella era la mia strada e non avessi mai avuto altre idee in testa, e forse questo è insolito, quando ero piccolo perché avevo la convinzione interiore che il calcio era la mia passione, quindi non mi sono mai data la possibilità di pensare ad altro. Sono una persona a cui piacciono tante cose. Non è come se fosse questa cosa o altro. Per fare un esempio, quando ero piccola andavo sempre con mio nonno a falciare il prato perché lui andava nelle case delle donne che vivevano da sole e non potevano farlo da sole perché magari avevano un giardino con tante siepi, quindi andavo sempre con lui a falciare il prato e a potare le siepi. Se mi avessero chiesto se mi sarebbe piaciuto fare il giardiniere, avrei detto di sì. Mi piacciono così tante cose, ma non ho mai avuto… Forse perché avevo una passione così grande, non ho mai avuto la possibilità di fermarmi e pensare a come potrebbe essere per me un altro percorso. Per me questa è sempre stata la cosa da fare. Quando eri nelle giovanili e nella Primavera, in una situazione in cui hai un percorso nel calcio professionistico che poi diventa effettivamente un lavoro, ma devi ancora passare dalle giovanili».
Quando hai capito di potercela fare?
«Ad essere onesti, sono molto ambizioso, ma spero di non essere mai apparso pretenzioso nel pensare che non avrei mai potuto fallire, ma sentivo dentro, tornando a quello che ho detto prima, che forse la mia passione era così forte che non avrei mai pensato di poter fallire. Penso che sia stato qualcosa dentro di me e nella mia forza che mi ha fatto superare i momenti difficili in cui le cose non funzionavano, come un brutto allenamento, ma che mi ha sempre dato la convinzione e la consapevolezza che queste cose accadono lungo il percorso, ma ciò non significa che non puoi avere successo. Ho sempre avuto quella convinzione interna che avrei avuto successo. Penso che sia chiaro che sia cos».