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Umberto Tozzi: «Suonavo, non volevo cantare. Fu Cerruti, il cervello degli Squallor, a convincermi»

Intervista a Repubblica: «Non amavo la mia voce. Lavorammo con Battisti che non ci offrì nemmeno un riso in bianco. Mi definivano un “vaffanculista”. Ero antipatico»

Umberto Tozzi: «Suonavo, non volevo cantare. Fu Cerruti, il cervello degli Squallor, a convincermi»

Umberto Tozzi intervistato da Repubblica per il tour che chiuderà cinquant’anni di carriera.

Scrive Repubblica:

Le sue canzoni sono finite in film celeberrimi come The wolf of Wall Street di Scorsese, Flashdance, Spider-Man: Far from home, oltre che nella serie cult La casa di carta. E la suaGloria si è ascoltata pure durante l’assalto di Capitol Hill: «Ribadisco quello che ho detto in quei giorni: scelgo l’amore, non l’odio».

E pensare che voleva fare il calciatore.
«Forse è meglio che non l’abbia fatto. Avevo un grande amore per il calcio, ero a mio agio, giocavo bene. Dovevo passare una settimana a Coverciano per fare dei provini. Poi è andata diversamente».

Ha iniziato come turnista. E stava per suonare in un disco storico di Lucio Battisti.
«Eravamo sempre a Milano con gli altri del mio giro a caccia di un ingaggio. Eravamo alla Numero Uno, l’etichetta di Lucio e Mogol: registrammo delle session per Il nostro caro angelo. Poi Lucio scelse un altro chitarrista».

Come fu l’incontro con Battisti?
«Ci chiese da dove arrivassimo. Quando gli dicemmo che eravamo di Torino esclamò: “Ah, ma allora siete dei paraculi!”. Lo disse perché, all’epoca, il giro dei turnisti era quasi tutto milanese, e pensò a chissà quale spinta. Nei giorni in cui lavorammo insieme non ci offrì nemmeno un riso in bianco. Però anni dopo seppi che mi indicò come un grande innovatore della musica italiana e mi fece un enorme piacere. Era un gigante».

Umberto Tozzi: «Non mi piaceva la mia voce»

All’inizio non voleva diventare un cantante.
«Non mi piaceva la mia voce, quando la sentivo mi disturbava. Anche John Lennon aveva lo stesso problema, non sono l’unico. Ho capito tardi che invece era originale, che poteva trasmettere emozioni».

Cosa le ha fatto cambiare idea?
Umberto Tozzi: «Fino all’incontro con Bigazzi, un vero maestro, non pensavo di cantare io, non mi piaceva l’idea di fare il solista. Fu Alfredo Cerruti, un grande talent scout oltre che il cervello degli Squallor, a convincermi».

Lei è sempre stato un artista schivo. Ma non ha nemmeno un episodio da popstar da raccontare?
«Mi definivano un “vaffanculista”. Ero antipatico, sono un po’ migliorato. Popstar mi sono sentito una volta a Santiago del Cile, 1982: scendendo dalla scaletta dell’areo vidi che in basso c’erano telecamere e una folla di giornalisti. Mi girai per guardare chi stessero aspettando. Poi vidi duemila persone sulla terrazza con gli striscioni. Pensavo che certe cose potessero succedere solo ai Beatles».

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