Addio al capo della comunicazione di Bassolino. Ebbe un ruolo fondamentale nell’affermazione del bassolinismo. Un innovatore. Spigoloso. Mai appariscente.
In quanti conoscevano Mario Bologna? Crediamo in pochi, se ci riferiamo al grande pubblico. È stato una figura rilevantissima di quell’epoca che per brevità giornalistica definiamo bassolinismo. È stata una figura fondamentale, oscura e profondamente innovativa. Mario Bologna (non veniva citato mai solo il cognome) modificò la comunicazione politica. A Napoli certamente ma secondo noi non solo a Napoli. Non fu certo un caso se per un decennio buono Bassolino, a nostro avviso anche al di là dei suoi indiscussi meriti politici, fu mediaticamente uno dei politici più e meglio in mostra del Paese. Prima della slavina rifiuti. Prima, ci fu tanto merito di Mario Bologna. E poi, a bassolinismo finito, ci siamo resi conto di quanto fosse stato faticoso il lavoro di rendere Napoli un interlocutore politico nazionale.
A noi cronisti fondamentalmente sembrava semplicemente un rompicoglioni, un cacacazzo. E in effetti lo era. Un cane da guardia. Quello bassoliniano è stato un potere assoluto da queste parti e il potere, quando è dilagante, si manifesta sempre con le stesse modalità. Lui era il capo della comunicazione di Bassolino. Quindi non erano rose e fiori. Tutt’altro. Era controllo capillare. Era pressione diretta o indiretta. Era il suo lavoro. Era, in realtà, quel che poi è diventato pressoché comunemente questo lavoro. Però Mario Bologna, almeno con un bel po’ di cronisti, argomentava. Sempre. In discussioni fiume, anche nel bel mezzo della giornata lavorativa, persino per un inciso di un articolo. E il tutto sempre sostenuto da una lucida e mai rassegnata analisi politica.
Mario Bologna – è questa a nostro avviso la chiave – aveva visto prima di altri che bisognava guardare oltre Napoli. Che bisognava leggere la realtà e interpretarla in chiave nazionale. A partire dalle distribuzioni delle proprietà dei quotidiani e delle tv. Ovviamente i due terreni coincidevano. L’emarginazione di Napoli e della Campania dal dibattito nazionale con l’emarginazione (eventuale) di Bassolino. Provava a spiegare, fino allo sfinimento (suo e dell’interlocutore) che Napoli era considerata notizia sempre e solo in ottica emergenziale: quasi sempre in negativo, talvolta in positivo. E ti dimostrava, dati e notizie alla mano, che gli stessi presunti scandali che da Napoli finivano in prima pagina nazionale, a Bergamo, a Brescia o nel Veneto invece non sfondavano.
Mario Bologna e la disparità mediatica tra Sud e Nord
Nella macro visione aveva ragione lui. Provava a far comprendere quanto fatica e quanto impegno ci volessero per smuovere qualcosa. Come ad esempio i lavori per quello che oggi è il metrò dell’arte e che in effetti ha modificato le abitudini di una fetta della città. Al fondo, Mario Bologna auspicava con tutte le sue forze che potesse nascere un quotidiano di Napoli e del Sud che avesse la forza di andare a rompere le scatole al Nord, di ribellarsi alla sudditanza mediatico-politico-culturale di cui, secondo lui, i media e i giornalisti napoletani si rendevano complici.
Averci a che fare non era semplicissimo. Ripetiamo, il bassolinismo è stato un potere assoluto. È mancato poco che si arrivasse a narrare di camminate sulle acque. Ogni minimo provvedimento della giunta comunale e regionale veniva annunciato e propagandato prima, durante e dopo. Era un lavoro capillare. Certo non riconducibile solo a Bologna.
Noi fondamentalmente abbiamo imparato ad apprezzarlo quando l’immenso potere cominciò a sgretolarsi sotto l’odore nauseabondo dei rifiuti. Non fu un caso, a nostro avviso, che il clamore mediatico scoppiò quando la monnezza finì in prima pagina sul New York Times. I giornali napoletani se ne occuparono sì ma non la confezionarono come la drammatica emergenza che fu. Non a caso. Lì forse ci fu la vera spaccatura politica con Bassolino che secondo Bologna non difese strenuamente la scelta del termovalorizzatore, anche a costo di perdere la maggioranza. Ma questo riguarda la politica.
Ciononostante Mario Bologna non scese mai dalla nave da cui invece scappò l’inverosimile. Non se ne ha un’idea di quanta gente fuggì. È stato un amico del Napolista. Lo abbiamo intervistato. Ha scritto per noi. Sono continuate per anni le discussioni sui media e sui rapporti di forza Nord-Sud. Aveva accarezzato l’idea di crearlo, o comunque di dare una mano a crearlo, un giornale che provasse a ribaltare i rapporti di forza. O che quantomeno fosse corsaro, termine che lui amava.
Le sue discussioni erano sempre appassionate. Si era ritirato a vita privata, piegato da inestinguibili dolori familiari. Ma da casa seguiva tutto. E anche il Napoli di De Laurentiis – lui che non era appassionato di calcio – lo interessava proprio perché incarnava quel che andava ripetendo da vent’anni. “Ora difendi De Laurentiis. Quando io ti dicevo le stesse cose di Bassolino, non mi credevi perché mi ritenevi di parte. Lo ero ma non era solo quello”. Ogni telefonata, ogni conversazione con lui non era mai banale.
“Fatti sentire”, dicevi sempre così alla fine delle telefonate. Ciao Mario, avevi ragione tu.
Intervista a Mario Bologna del 2017: «De Laurentiis ha ragione sull’informazione. Che prima mitizzò e poi travolse Bassolino» – L’ex spin doctor: «Bassolino eroe era funzionale a una narrazione. Così come la sua caduta. Non un intellettuale napoletano ha riconosciuto i suoi meriti. Adl ha una comunicazione vecchia e grezza, deve portarla al livello del Napoli».