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Diane Kruger: «Quando ho iniziato a recitare, appena aprivo bocca sul set dicevano: “Oh no, lei è una difficile”»

A Grazia: «Non capitava solo a me, tutte le attrici che osavano chiedere qualcosa venivano bollate com “ambiziose”, se non addirittura “isteriche”».

Diane Kruger: «Quando ho iniziato a recitare, appena aprivo bocca sul set dicevano: “Oh no, lei è una difficile”»
Cannes (Francia) 13/05/2018 - Festival del Cinema di Cannes / foto Panoramic/Insidefoto/Image nella foto: Diane Kruger ONLY ITALY

Grazia intervista Diane Kruger, 48 anni il 15 luglio, che ha cominciato a recitare vent’anni nel ruolo di Elena di Troia in Troy, accanto a Brad Pitt e Orlando Bloom.

Com’era lei da ragazza?

«Molto determinata ma, quando ho iniziato a recitare, ogni volta che aprivo bocca sul set, fosse anche solo per esprimere un dubbio sulla scena, sentivo bisbigliare: “Oh no, lei è una difficile”. Non capitava solo a me, tutte le attrici che osavano chiedere qualcosa venivano bollate com “ambiziose”, se non addirittura “isteriche”».

Ambiziosa, di per sé, non è un aggettivo negativo.

«Eppure veniva utilizzato come tale. Come se fosse un errore per noi donne ambire a qualcosa, anche solo difendere la propria posizione. Per questo dico che non stare zitte è parte della nostra missione quotidiana e deve esserlo sempre di più, affinché le nostre voci vengano ascoltate e le nostre richieste esaudite».

Quale momento della carriera sente di vivere?

«Ricevo sempre più sceneggiature interessanti, come quella di Era mio figlio, che ho accettato anche per il piacere di tornare a recitare con Richard Gere (dopo The Hunting Party, ndr). Mi fa piacere poi che si parli sempre più di diversità e inclusione. Io sono stata abituata da subito a lavorare con attori di culture e provenienze diverse, avendo sempre avuto una carriera internazionale».

C’è un Paese, su tutti, a cui si sente più legata?

«Il mio cuore è per il cinema francese. Lì un film non è un’operazione commerciale ma un evento culturale, una concezione lontana dall’ossessione per il box office americana. In Europa il cinema è un’arte in cui le relazioni personali contano».

A proposito di relazioni, come si è trovata con il regista Cronenberg per The Shrouds?

«Cronenberg è un visionario. Ha voluto portare sullo schermo la sua storia, io interpreto sua moglie morta nel 2017. È stata la mia performance più intima. Interpretare la malattia mi faceva sentire profondamente vulnerabile, ma sul set ho percepito la stima per me, e quando ti senti amata puoi osare qualsiasi cosa».

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