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Il tennis regala alle Olimpiadi Djokovic-Nadal al secondo turno

Lo spagnolo batte in tre set l’ungherese Fucsovics e dona a Parigi 2024 una fetta di storia dello sport del Duemila

Il tennis regala alle Olimpiadi Djokovic-Nadal al secondo turno
Londra (Inghilterra) 14/07/2018 - Wimbledon / foto Panoramic/ Insidefoto/Image Sport nella foto: Novak Djokovic-Rafael Nadal ONLY ITALY

Il tennis regala alle Olimpiadi Djokovic-Nadal.

Parigi 2024 è la prima volta che il tennis conquista porzioni di cronaca olimpica. Porzioni anche di una certa dimensione se consideriamo le polemiche per il forfeit di Sinner, la presenza del doppio Alcaraz-Nadal e la prossima partita di secondo turno tra Rafael Nadal e Novak Djokovic. Il maiorchino ha battuto in tre set l’ungherese Fucsovics.

Sarà l’ennesimo capitolo di una sfida infinita che presto non ci sarà più. Trentotto anni Nadal, Trentasette Novak. Ventidue titoli del Grande Slam lo spagnolo (di cui 14 qui a Parigi), ventiquattro il serbo.

Per un giorno il tenni conquisterà i riflettori delle Olimpiadi. Forse in questo modo non era mai accaduto prima e chissà se accadrà ancora.

Sinner (il tennis), come Pogacar, non c’entra niente con le Olimpiadi (di Mario Piccirillo)

Basterebbe leggere la formazione dell’Argentina U23 – la chiave è nella formula giustapposta: “U23” – per introdursi alle Olimpiadi in una maniera sana. Dov’è Messi? E Lautaro? Che ci fa il pallone, in questa sua versione ridotta, a Parigi? Ce lo chiediamo ogni volta. E infatti, se per un atto di masochismo puro i francesi hanno dato ai Giochi il calcio d’inizio con lo sport meno olimpico del mondo, sono stati ripagati subito: caos, polemiche, invasioni di campo, e tutta la solita triste grammatica del calcio cui siamo assuefatti. Ma questa ouverture tradisce perfettamente lo spirito d’alterità delle “vere” Olimpiadi: una parentesi tonda, quadra, graffa, che ogni quattro anni richiama in una riserva l’altro sport, lo mette a nudo e lo protegge. Lo lascia sfogare. E il mondo sale sui divani, come sulla jeep d’un safari, ad ammirare le bestie feroci. La cattività dell’agonismo.

E invece Sinner ha la tonsillite. Tocca angustiarci per il mal di gola del numero 1 al mondo del tennis. E Pogacar non era poi così stanco, s’è scoperto: a Parigi non c’è andato perché la Slovenia ha sgarrato, non ha convocato la fidanzata. E i calciatori, i campioni, stanno chi a Ibiza chi in ritiro sulle Alpi. La Formula Uno non fa tappa all’Ile-de-France solo perché non ha spazio in calendario, ma diamoci tempo: i soldi ci sono, arriveranno anche i motori prima o poi ad inquinare questo pianeta satellite. A dispetto dei titoloni le Olimpiadi non sono la terra dei Sinner, e dei fuoriclasse che ogni anno hanno ben altri trofei da inseguire. Provano in tutti i modi – e chissà quanto ancora durerà – a ricacciarle nell’ordinarietà del professionismo, negli eventi da catena di montaggio. Senza il rispetto dovuto alla natura della sua stessa bellezza: la differenza, la dissomiglianza.

Tutti – è ovvio – vogliono farsi un paio di settimane sui letti di cartone del Villaggio Olimpico. Anche chi può permettersi, per carriera, di considerare una medaglia d’oro al pari d’uno Slam, o del Tour de France, o d’un Mondiale in Qatar. I soldi, una volta tanto, non sono un discrimine: i big dell’atletica sono miliardari quasi quanto i portabandiera americani Lebron James e Coco Gauff. Ma per i Jacobs e i Tamberi (figurarsi chi “star” non è) le Olimpiadi sono la vita, il traguardo di quattro anni di allenamenti brutali centrati sul quel bersaglio e pochi altri.

Le Olimpiadi sono di Dawson

Le Olimpiadi appartengono a Matthew Dawson, il campione australiano di hockey su prato che pur di non mancare l’appuntamento della vita s’è fatto mozzare una falange rotta. Sono il confine delle inedite nazionali uzbeke, il miraggio di sconosciuti atleti che ci ostiniamo a chiamare “minori” sulle pagine di giornali zuppi di calciomercato fino all’asfissia. Di gente – famosa o meno, qualcuno ricco altri poverissimi – che per un’estate ogni quattro si infila in un imbuto: un non-luogo che riassume fatiche e sacrifici, una destinazione finale. La tonsillite di Sinner, nell’economia di quest’universo parallelo, è davvero un dettaglio insignificante. Che ci ostiniamo a considerare “enorme” perché ormai siamo tarati così, a uso e consumo di logiche che i Giochi disinnescano puntualmente.

La bellezza delle Olimpiadi è nella diversità. Lasciateci in pace per 15 giorni: date un antibiotico a Sinner, che a settembre ci sono gli Us Open. A Dawson il dito nessuno lo riattaccherà più. Vuoi mettere?

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