Gli atleti confinati su orribili battelli, per il resto Pigalle, Eiffel, Elysees, arrogance. Lo sfregio artistico di Thomas Jolly, uno spettacolone del tutto estraneo allo spirito olimpico
La cerimonia è stata un kolossal che non c’entrava niente con le Olimpiadi
Caro Max, ti scrivo in ritardo perché sono ancora stremato, annichilito, distrutto e devastato dalle quattro ore televisive della non cerimonia di apertura della XXXIII olimpiade in occasione della quale Parigi, una mente eccelsa di Parigi, l’attore e ballerino Thomas Jolly, direttore del teatro francese, con questo cognome da catena alberghiera, ha messo su uno spettacolone del tutto estraneo allo spirito e alla suggestione olimpica per stupire, sorprendere e ingannare i vecchi cronisti di olimpiadi come me abituati alle semplici e gioiose sfilate degli atleti in uno stadio imbandierato e con un braciere in attesa di ardere, acceso
dalla fiaccola olimpica di un tedoforo illustre, qualche trovata geniale, ai miei tempi, niente di più.
Appena concesso ai Giochi quello che è dei Giochi, la sfilata delle squadre nazionali e dei rifugiati fatte navigare lungo la Senna pigiate su orribili battelli, e qualche rappresentativa minore affidata a barchini tipo migranti alla deriva, il resto dell’apertura della
Olimpiade di Parigi, nell’imbarazzo di commentatori televisivi retrogradi come il sottoscritto, legati a una tradizione giustamente
rivisitata dallo sfregio artistico di Thomas Jolly, il resto è stato un kolossal come li faceva Hollywood sull’antica Roma, ma come neanche Cecil Blount DeMille e Sergio Leone insieme, assistiti da Stanley Kubrik, avrebbero immaginato di fare.
Insomma, una cinematografica cascata di immagini, suoni, acrobazie, luci, danze, can-can compreso ovviamente, storia, storie e geografia, figure e figuranti, musici, commedianti, vocalist e, fino a un certo punto, un tedoforo nipotino del mostro di Notre Dame con la fiaccola in mano, di corsa sui tetti di Parigi, nelle fogne di Parigi, sui musei di Parigi, nelle strade di Parigi.
Molto, tanto, tutto di Parigi, cancellando ogni traccia di olimpiade, se non in qualche passaggio finale, troppa Senna, troppa Eiffel, troppo Louvre, addirittura il furto della Gioconda, troppi Elysees, troppa Pigalle, troppa grandeur, profumata Arrogance, troppo Dior, è mancata solo l’immagine di una baguette. Formidable.
Ho ancora negli occhi i fasci di luci psichedeliche lanciati dalla Torre Eiffel, l’apparizione di regine decapitate, i più famosi volti francesi annegati nella Senna, Zinedine Zidane, la staffetta dei tedofori, uno, due, tre quattro, troppi tedofori, la coppia finale con la fiaccola e, allo stremo di ogni attenzione e compiacimento, l’accensione di un immenso braciere issato nel cielo di Parigi da una mongolfiera, mentre su tutto e tutti è caduta la pioggia, la famosa pioggia di Parigi, l’unica cosa spontanea e naturale di una serata infinita e stralunata.
Oggi torna sulla scena la vera Olimpiade, tornano gli atleti, le squadre, le gare, torna lo stadio, il luogo reale e sacrosanto dei Giochi, con le piscine, le piste, le palestre che Thomas Jolly non potrà cancellare con le sue invenzioni parossistiche, col caleidoscopio delle sue mille immagini di Parigi, scomposte e ricomposte, lo spettacolo più bello del mondo di Thomas Jolly al quale educatamente chiede spazio il barone De Coubertin perché l’Olimpiade sia l’Olimpiade senza sfide all’OK Corrall dell’immaginazione straripante di Thomas Jolly, l’enciclopedico Thomas Jolly, questo Denis Diderot di ogni cerimonia inaugurale, fastositè, imprevedibilitè, magnificitè, cancellando la semplicitè dei nostri tempi romantici alle Olimpiadi.