“Non importa quanto si nascondono prima degli inni. Non importa quanto si parli di un mondo inclusivo. Vince l’epica: comandano il sacrificio, la romanticizzazione della morte”
Facciamo il gioco delle bugie, scrive El Paìs. Raccontiamoci ancora che “diecimila atleti giureranno questo venerdì di partecipare ai Giochi Olimpici per l’onore delle loro squadre e per rendere il mondo un posto migliore. Questo è quello che diranno. Un secolo fa giuravano sull’onore del loro Paese e sulla gloria dello sport. Patria e gloria: parole pericolose che andrebbero decaffeinate”. Certo, sì, come no…
La verità, invece – scrive Paco Cerdà – è che “diecimila atleti combatteranno a Parigi. Anche se non lo dicono, Paese e gloria sono pulsioni ataviche risucchiate e incanalate dallo sport”. Nel corso del Novecento “ha vinto un altro mondo: viva il male, viva il capitale. E le Olimpiadi acquistavano peso in base alla patria, alla gloria e a quel dolce liquido amniotico che così bene li protegge dalla ragione e che, allo stesso tempo, sostiene la loro irragionevolezza. L’epica.
“L’epica come ideologia – continua – È questo il titolo di un capitolo di Il silenzio della guerra, un saggio scritto da Antonio Monegal, studioso di Barcellona con un dottorato ad Harvard. Dice nel suo libro una cosa fondamentale per capire cosa vedremo in questi giorni dal divano. Dice che la tradizione epica, con cui Omero cantava la guerra di Troia nell’Iliade, ha modellato il nostro modo di concepire la guerra e che, inoltre, ha contribuito con una componente ideologica decisiva alla costruzione del nostro immaginario culturale sulla guerra”.
“Devi morire per essere cantato. Più precisamente: devi rischiare la vita per salvarti dall’oblio. Perché sopravvivano nomi e imprese. Più poeticamente: devi morire per non morire. Ecco perché non è neutrale cantare la guerra in modo epico. È ideologicamente parziale. Eccita i futuri guerrieri. Motiva nuove guerre. Perpetua ciò che viene onorato: l’eroismo, il sacrificio, la romanticizzazione della morte”.
“La cornice epica genera ideologia. E qui il quadro è vincere o perdere. Il quadro è quello della competitività estrema. La cornice è la patria. La cornice è la gloria individuale. Non importa quanto si nascondono prima di suonare gli inni. Non importa quanto si parli di un mondo inclusivo e migliore prima di distribuire medaglie. Che la guerra abbia inizio. Stiamo morendo”.