A Repubblica: «Se uno esordisce molto giovane la stampa si aspetta molto. Prima volta in uno stadio? I miei mi portarono al San Paolo ma non si giocava»

La Repubblica intervista Simone Pafundi, giovane talento italiano che ora gioca in Svizzera. Oggi debutta con l’Italia
contro la Norvegia a Belfast all’Europeo U19 in Irlanda del Nord.
Pafundi, partiamo dal principio: il 16 novembre del 2022 a 16 anni, 8 mesi e 2 giorni lei è diventato il calciatore più giovane dal 1911 ad aver esordito in azzurro. Ricorda quel giorno?
«E chi se lo scorda. Mancini mi ha chiamato all’88’, mi stavo scaldando: mi sono preparato in un attimo, sono entrato e da quel momento non ho più capito nulla. Dalla mattina avevo intuito qualcosa, un po’ ci speravo ma non è che fossi tanto sicuro di giocare».
Per lei però l’esperienza è finita lì. Invece all’Europeo dei grandi la star è Yamal, che ha l’età che aveva lei al debutto azzurro. E non è l’unico.
«Sono molto felice per loro. E vedere Yamal fare quelle prestazioni piace, piace parecchio. Io non sono lì, è vero, ma penso che con il lavoro ci posso arrivare».
Che consigli le dava Mancini?
«Il mister mi ha sempre detto di stare tranquillo, non mi ha mai messo pressioni, anche quando uscivano cose su di me. Mi ha riempito di consigli. Mi diceva: dai tutto quello che hai. E con lui hosempre cercato di fare del mio meglio, gli sarò sempre grato».
Da bambino prodigio a emigrante: ci racconta la scelta di lasciare l’Udinese per il Losanna?
«Sono andato via per giocare. Venivo da un anno pieno di pressioni, è stata la scelta giusta. È un campionato in cui ho meno
pressioni, sono più libero. Contento».
Pafundi: «Se uno esordisce molto giovane la stampa si aspetta molto»
Pressione, pressione: continua a ripetere questa parola.
«Se uno esordisce molto giovane in Nazionale e poi in Serie A, la stampa, la gente, si aspetta molto. Io però di opportunità ne ho avute poche. Per scelte che posso rispettare serenamente. Sono tranquillo, penso che l’unica cosa che devo fare ora è far bene questo Europeo Under 19».
Ricorda la prima volta in cui è entrato in uno stadio?
«La mia famiglia è originaria di Napoli e mi portarono al vecchio San Paolo. Ma non si giocava nessuna partita, era vuoto e io ero piccolo piccolo. La prima vera volta allo stadio è stata in Serie A: prima a Udine, quando andai in panchina contro lo Spezia. E poi la settimana
dopo a Salerno, il giorno dell’esordio. Lo stadio era una bolgia, bellissimo. Un bel ricordo».
Quali sono i suoi interessi fuori dal campo?
«Mi piacciono altre cose oltre al calcio. Mi piace giocare a ping pong, guardare il tennis. Avevo una passione per Federer: è sempre
stato il mio tennista preferito. Purtroppo però oggi la sua classe non ce l’ha nessuno».