“Vivono in bolle che non sono le nostre, e solo adesso stanno trovando una voce politica in un sistema che li ha sempre zittiti”

Che amarezza, la festa della Nazionale spagnola campione d’Europa. “Non un accenno al razzismo, al machismo, al dramma della Palestina, alla guerra civile nello Yemen, agli sfratti, alla crisi abitativa, niente di niente; solo musica dal gusto discutibile, Gibilterra spagnola, testosterone e alcol. Così per alcuni la nazionale è passata in pochi giorni dallo sconfiggere il razzismo – anche se questo non risulta nei verbali arbitrali delle partite – all’essere priva di ogni valore civico e morale“. Il punto, scrive nel suo editoriale sul Paìs Lucia Taboada, è: che diamine ci aspettiamo dai calciatori? Che pretese abbiamo?
“Ovviamente né la nazionale ha sconfitto il razzismo (come se ciò fosse possibile), né Lamine Yamal e Nico Williams si sono travestiti da Martin Luther King per tre settimane, né sono entrati all’improvviso in un territorio amorale sconosciuto. La nazionale ha vinto un Campionato Europeo e ha fatto felice non poche persone per alcuni giorni. Coloro che prima odiavano il calcio continueranno a odiarlo con rinnovata gioia e motivazioni. E chi prima ne godeva continuerà a farlo. Ma cosa ci aspettiamo esattamente da un calciatore? Ci aspettiamo che cambi il mondo come un supereroe vestito di Gucci? Quali personaggi Marvel speriamo che incarnino? E cosa ci aspettiamo da una Nazionale? Ci aspettiamo che faccia scomparire i mali della società?”.
“Suppongo che l’ampio scambio di tempo e denaro che abbiamo con il calcio dia a noi tifosi il diritto di sentire che possiamo rivendicare, aspettarci e pretendere tutto da esso. Il calcio, pensiamo (o almeno è quello che penso) sia in debito con noi. I calciatori sono in debito con noi, ovviamente. E ovviamente (quasi) tutti vorremmo che i nostri giocatori approfittassero della loro enorme oratoria per parlare di cause sociali o mobilitare le coscienze. Alcuni lo fanno, altri addirittura mobilitano voti, la maggioranza no. La maggior parte di loro semplicemente gioca. È sempre stato così e continuerà ad essere così, a meno che il sistema operativo del calcio non venga riconfigurato da zero”.
“Affinché il calcio abbia la qualità beatifica di cambiare il mondo, avremmo prima bisogno che il calcio cambi”, continua Taboada.
“I calciatori continuano a vivere in bolle con certezze che normalmente non corrispondono alle nostre. Penso che sia questo il motivo per cui tanti ex calciatori e calciatori cadono in truffe finanziarie e teorie cospirative, convinti che le regole governino il mondo diverso per loro”.
“I giocatori stanno lentamente trovando la loro voce in un sistema che li ha sempre messi a tacere. Alcuni iniziano a mostrarsi e a condividere le loro idee politiche (attenzione, potrebbero non coincidere con le tue). Ma non devono offrirci nulla oltre il loro lavoro, tanto meno la salvezza del mondo. Nessuno dovrebbe obbligarli a svolgere un ruolo pubblico che non desiderano. Una notte come la finale degli Europei, quella gioia collettiva, per ora dovrebbe bastare”.