“Anche i campioni sono congelati nell’impotenza, non convinceranno mai tutti che sono puliti. Nel ciclismo il dominio non è più tollerato, l’eccezionalità ancor meno”
Quando a Tadej Pogacar viene chiesto di spiegare il segreto delle sue prestazioni assurde in salita dice che è merito dell’alimentazione. Un classico degli ultimi anni, cui il campione leader del Tour dà un nuovo colore. Dice che quando ha cominciato, sei anni fa, la colazione era un ammasso quasi informe di carboidrati: pasta bianca, riso bianco. Adesso invece viene servita più una colazione più normale, tipo farina d’avena, frittelle o pane, anche le omelette. La Süddeutsche a questo punto lo sfotte: “Ebbene sì: basta pasta quando ti alzi, fai una colazione normale e salirai più velocemente in montagna. Se a qualcun altro viene l’idea di mangiare al mattino un café au lait, due croissant al cioccolato e una baguette con marmellata di fragole fatta in casa, probabilmente sarà inarrestabile”. Ma il tema invece è terribilmente serio. E rispunta fuori ad ogni super-prestazione dei nuovi dei del ciclismo, che sia Pogacar, il rivale Vingegaard, o il terzo incomodo Evenepoel… il doping.
Il fatto è che Pogacar ha vissuto un fine settimana sui Pirenei “con prestazioni mai viste prima nella storia del ciclismo”, scrive il giornale tedesco. Domenica ha infranto il record di scalata sul Plateau de Beille che apparteneva a Marco Pantani, di tre minuti e mezzo. E’ andato molto più veloce non solo di Pantani ma anche dei super-dopati dell’epoca Armstrong e Ullrich. La domanda resta sempre la stessa: possono davvero riuscirci da “puliti”?
Le risposte che danno sul punto sono sempre uguali: “È impressionante come siano cambiate le cose”, dice: la nutrizione, l’aerodinamica, i materiali, soprattutto gli pneumatici. Ora ci sono molti più ritiri in quota e la situazione agonistica fa il resto. “Tutti si concentrano tanto sui dettagli – dice Pogacar – su ogni singolo grammo quando si mangia, su ogni singolo watt sulla bici”. Ma, di nuovo, basta questo per spiegare cosa sta succedendo sulle montagne francesi?
La Sz critica anche le conferenze stampa di questi campioni, fatte ormai da remoto con le domande accettate solo via chat e filtrate dall’addetto stampa del Team. Ovviamente quelle sui sospetti vengono regolarmente scartate.
A commento sulla stessa questione interviene su L’Equipe Alexandre Roos: “Tadej Pogacar ha messo ko Jonas Vingegaard mentre il ciclismo è fossilizzato nel suo passato, tormentato dai suoi demoni, dai suoi fantasmi che riappaiono ad ogni prestazione straordinaria”. La questione del doping nel ciclismo è diventata polarizzante, scrive Roos, “in un mondo che mal sopporta la vaghezza e le sfumature, dove le opinioni vanno tagliate con il taglierino per garantirsi un posto in scena, dove è meglio gridare che tacere. Ci viene chiesto se ci crediamo, perché in questa materia ognuno deve avere la propria obbedienza, la propria cappella, la propria scatolina ben definita. Come se fosse una questione di fede, segno che il dibattito è già scivolato nel campo della passione. Vogliamo che il ciclismo sia una religione, che susciti in noi sentimenti profondi e personali, ma tutto questo è intimo, ognuno viene a cercare ciò che vuole, guarda la gara con i propri occhi, e questa non è destinata a diventare una verità, da esporre davanti a tutti. Credere o non credere implica cecità, una parte dell’irrazionale, esattamente ciò che dobbiamo evitare quando guardiamo le prestazioni, giudichiamo quello che fanno i corridori, perché è di questo che si tratta. L’unica domanda valida è questa: cosa sappiamo?”
Ma il punto è che Pogacar, Vingegaard e in misura minore Remco Evenepoel “possono rispondere a tutte le domande sul sospetto, su cosa fanno, cosa non fanno, ma non sarà mai abbastanza. Anche loro sono congelati in una forma di impotenza, perché le loro risposte non convinceranno mai tutti, almeno chi ha deciso a priori la propria colpa, non spegneranno mai la brace poiché anche il passare del tempo non può far nulla. Nel ciclismo il dominio non è più tollerato, l’eccezionalità ancor meno. Non esiste più la felicità collettiva, la gioia senza asterisco, queste sono riservate ai campioni di altri sport. Questo massetto ci sarà sempre, la fatalità come scorta, ma è una dimensione che contribuisce alla bellezza di questo sport, alla sua complessità, e dobbiamo abbracciare il ciclismo nella sua totalità, nei suoi eccessi, nella sua commedia umana, nei suoi tormenti, in fuga dalla quotidianità e allo stesso tempo richiamo alla difficoltà e alla fragilità delle cose”.