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Se Sinner cantasse “non mi avrete mai come volete voi”

Non sacrifica tutto alla patria? No. Decide il meglio per la sua vita, come fa da quando era adolescente. La sua colpa è aver calcistizzato il tennis

Se Sinner cantasse “non mi avrete mai come volete voi”
Miami (Stati Uniti) 31/03/2024 - Miami Open / foto Imago/Image Sport nella foto: Jannik Sinner ONLY ITALY

Se Jannik Sinner conoscesse i 99 Posse, e se non fosse Jannik Sinner, in quest’epoca di social pubblicherebbe il brano “L’anguilla” il cui ritornello recita: “Non mi avrete mai come volete voi”. È stupefacente il rapporto tra il corpaccione del Paese e quest’atleta contemporaneo. Che è italiano, sì è italiano. Ma è soprattutto un giovane uomo di 23 anni (li compirà il 16 agosto), cittadino del mondo, che si sobbarca sacrifici da oltre dieci anni per coronare il suo sogno: diventare un grande tennista. Lo è diventato. È numero uno al mondo. Ovviamente quando è andato via di casa, non lo ha fatto per il Paese. In un contesto normale non sarebbe neanche da sottolinearlo. Ma il nostro non ci sembra un contesto normale.

Quando Sinner ha lasciato casa, lo ha fatto da solo. Pensando al proprio futuro. Ha scelto la strada da seguire. E l’ha percorsa. Non è un tipo melodrammatico però in qualche intervista ha parlato della sua vita da adolescente lontano dalla famiglia. Quando già era un predestinato ma sentiva che qualcosa non stava andando nel verso giusto, decise. Ruppe col suo storico coach, Riccardo Piatti, e si affidò a un allenatore che non era certo considerato il Guardiola del tennis. Scelse.  Come è stato abituato a fare nella sua vita. E i risultati non sono arrivati nemmeno subito.

Nel frattempo, tre anni fa, decise di saltare le Olimpiadi. Perché avrebbero intralciato il suo percorso professionale e di crescita (e infatti vinse il torneo di Washington). Subì una delle prime shit-storm della sua carriera. Un’altra arrivò quando non partecipò alla Coppa Davis. Quello fu un vero e proprio ciclone di merda. Come si permette? Non sacrifica tutto alla patria? No. Non sacrifica tutto alla patria. Segue il percorso della sua vita. L’Italia e gli italiani si prendano il meglio, sono tornati a vincere la Coppa Davis standosene comodi sul divano.

Pochi giorni fa, ha scelto ancora una volta. E ha saltato le Olimpiadi. Perché non sta bene. Ha una tonsillite. E perché – lo aggiungiamo noi ma è chiaro a chiunque conoscesse il punteggio del tie-break da prima dell’avvento di Sinner – andando alle Olimpiadi con una tonsillite rischierebbe di compromettere l’agosto e il settembre americani. Che sono fondamentali per la sua annata. E per conservare il primo posto in classifica (traguardo mai raggiunto da un tennista italiano). Già immaginiamo cosa succederà il giorno in cui non dovesse essere più numero uno.

Sinner e quanto conta il tennis alle Olimpiadi

Facciamocene e soprattutto fatevene una ragione: il tennis alle Olimpiadi conta quanto il parmigiano sullo spaghetto con le vongole. È una forzatura del business sportivo. Non è Wimbledon. Jasmine Paolini lo ha detto con disarmante schiettezza in una recente intervista: l’eventuale medaglia d’oro non compenserebbe la finale perduta a Wimbledon. Poi se vincerà l’oro, sarà felicissima, lei e noi. Ma non è uno Slam.

Federica Pellegrini è una delle pochissime, se non l’unica, ad averlo detto parlando di Sinner:

«A parte il suo problema di salute, che spero risolva il più presto possibile, secondo me è un approccio diverso da sport a sport. Il tennis ha i Grandi Slam che valgono come un’Olimpiade per lui. Per sport olimpici come il nuoto un’Olimpiade vale più di ogni altra cosa. Logico che lui debba prendere delle decisioni sicuramente diverse da un atleta che concorre a un’Olimpiade ogni quattro anni».

Non c’è bisogno di aggiungere nulla.

Se vogliamo individuare una responsabilità da addossare a Sinner, è un’altra. L’unica colpa di Sinner è quella di aver trasferito nel tennis il pressapochismo e la tracotanza del popolo del calcio e di tutti quelli che un giorno sono esperti di Costituzione francese e l’altro di curling. Quel “devi vincere” rovina culturale dello sport italiano come ricordato pochi giorni fa da Julio Velasco. Direte voi, ma senza questo seguito non avrebbe firmato tutti quegli accordi pubblicitari. Ma non è proprio così. Gli sponsor se lo contendono perché vince. E lui proprio per continuare a vincere ha saltato le Olimpiadi.

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