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Spalletti ora rischia. E Allegri e Ranieri sono lì che aspettano (La Stampa)

Spalletti sarà giudicato in Nations contro Francia, Israele e Belgio in campo: il risultato sarà importante, l’atteggiamento ancora di più

Spalletti ora rischia. E Allegri e Ranieri sono lì che aspettano (La Stampa)
Ci Napoli 13/01/2023 - campionato di calcio serie A / Napoli-Juventus / foto Carmelo Imbesi/Image Sport nella foto: Massimiliano Allegri-Luciano Spalletti

Spalletti ora rischia. E Allegri e Ranieri sono lì che aspettano (La Stampa).

La Stampa con Gugliemo Buccheri fa il punto sulla Nazionale, anche sul versante tecnico ossia quello della panchina dove Luciano Spalletti non è più sfacciatamente solido come fino a un mese fa.

Scrive La Stampa:

Spalletti si ritrova in una posizione non più dominante. Le date del 4 novembre può segnarne il nuovo confine perché, dal giorno dopo, la nuova governance ne giudicherà l’operato in Nations League con esiti anche sorprendenti: se il ct del disastro tedesco non darà risposte in empatia e gioco tra settembre o ottobre certificherebbe il secondo fallimento in poco più di un anno, troppo per non dover correre ai ripari. Tradotto: una presidente appena eletto sarebbe legittimato a dar vita ad un nuovo progetto tecnico per non mettere a rischio il nostro cammino verso il Mondiale 2026 che comincerebbe il prossimo marzo. Uno scenario raccontato con eccessiva fretta? No, uno scenario realistico. Spalletti è uno dei responsabili di quella che Abodi chiama «resa morale». Non l’unico, ma tra i principali. E se Gravina verrà giudicato nelle urne, il ct toscano dovrà superare gli ostacoli Francia, Israele e Belgio in campo: il risultato sarà importante, l’atteggiamento ancora di più. Un padre della patria calcistica pronto a dare il suo contributo c’è già: Claudio Ranieri. E senza scomodare i padri della patria del nostro pallone, Massimiliano Allegri potrebbe ritrovarsi alla finestra. Il caso è Nazionale.

Sicuri che Spalletti sia l’allenatore giusto per l’Italia? La sua missione è stravolgere il nostro Dna (Napolista)

A Spalletti, almeno in questo caso, va riconosciuta la sincerità. In conferenza stampa, alla domanda sulla prossima partita con la Croazia, ha risposto: «la differenza la facciamo noi con la possibilità di scelte che abbiamo di giocare la palla. Se non abbiamo scelte, è dura, ma io non so insegnare altro calcio, un calcio solo di attesa non mi piace».

«Io non so insegnare altro calcio, un calcio solo di attesa non mi piace». Il nodo sta tutto qui. Il tema – avrebbero detto nella Prima Repubblica – è politico. Ieri sera Italia-Spagna è stata una novità assoluta per il calcio italiano. È stata probabilmente la prima volta nella storia che la nostra Nazionale ha giocato in modo ottuso. Senza intelligenza. Senza tener conto degli avversari, della loro storia, dei loro punti forti né tantomeno di quelli deboli. L’Italia è diventata la tipica squadra di un qualsiasi allenatore della nouvelle vague, quelli che il mio calcio, che giocano nello stesso modo sia che affrontino il Francavilla sia che si trovino di fronte il Real Madrid. È davvero questo che vogliamo?

A chi giustamente fa notare che la Spagna ha giocatori mediamente più forti («l’unico fuoriclasse che abbiamo è Donnarumma», disse un certo Carlo Ancelotti), invitiamo a dare uno sguardo alle formazioni di Italia-Spagna del 2016 con Antonio Conte in panchina. Finì 2-0 per l’Italia, gol di Chiellini e Pellè (sigh). Il tabellino ve lo linkiamo qui: mettetevi seduti prima di leggerlo.

Spalletti ha replicato la presunzione di Icaro

Il punto è molto semplice: siamo certi che Luciano Spalletti sia l’allenatore giusto per la Nazionale italiana? Spalletti è un bravissimo tecnico, nessuno lo negherebbe, ma oggi è portatore di quel che il generale De Gaulle in modo sarcastico avrebbe liquidato con l’espressione “vaste programme”. Spalletti si è convinto di avere una missione antropologico-culturale da portare a termine. Lo scudetto vinto a Napoli, forse anche perché si tratta di un successo conquistato in tarda età, ha accentuato quel tratto da predicatore che ha sempre avuto. Ormai non c’è dichiarazione di Spalletti che non sia carica di accenti salvifici. O imperiali. Certamente educativi. Didattici. C’è da modificare usi e costumi di un popolo. Partendo da un campo di calcio. Per poi debordare. Spalletti in questi mesi ha parlato tanto, ha detto la sua sul comportamento dei giovani e su tanti altri aspetti. A mo’ di predicatore, appunto. Solo sul razzismo è rimasto schiscio perché voleva portare Acerbi agli Europei.

Ma veniamo al calcio. Spalletti ha replicato la presunzione di Icaro che lo colse alla vigilia di un memorabile Manchester United-Roma gara di ritorno dei quarti di finale di Champions 2006-07. Se la giocò a viso aperto. Allora finì 7-1. Ieri sera, per fortuna, solo 1-0. Anche perché, checché ne dicano i tanti commentatori italiani che hanno provato a indorare la pillola, questa Spagna è sì forte ma non è una squadra memorabile. Ha vinto su autogol un match che sarebbe dovuto finire 5-0. Ma se hai la presunzione di affrontare la Spagna sul suo terreno, finisce male. Solo in Italia non lo abbiamo capito. L’altro giorno, intervistato da La Stampa, Fernando Llorente ha ricordato la finale di Euro2012 quella in cui la Spagna ci diede quattro gol.

«Vi siete snaturati e noi abbiamo scoperto di essere tanto speciali da togliervi certezze. Un enorme riconoscimento. Avete lasciato la vostra tradizione. Non ce lo aspettavamo davvero, eravamo pronti a una lotta, allo sfinimento. Credo che l’Italia abbia provato a giocare come noi ed era impossibile. Eravamo una squadra pazzesca».

Più chiaro di così, si muore. Lo stesso Llorente ha detto: «Il tiki taka era una chiave adatta a esaltare quegli uomini, chi ne ha fatto un dogma non ha capito niente. Non è una religione, è uno stile». Parole che andrebbero affisse nelle scuole. Non nelle scuole calcio. Proprio nelle scuole: dalle elementari alle superiori.

Va bene la modernità ma da noi vengono per gli spaghetti non per la quinoa

L’Italia ieri sera si è snaturata, per volere del suo allenatore. Perché è questa la missione di cui si sente investito Spalletti. In altri tempi, contro una squadra come quella Spagna, ci saremmo divertiti a farli rimbalzare, a farli ammattire alla ricerca del gol che mai e poi mai sarebbe arrivato. E poi magari li avremmo infilati in contropiede. Il vero dramma di ieri sera è che l’Italia non sa fare più il contropiede. È una tragedia nazionale. Come se non sapessimo più cucinare gli spaghetti. Ok la modernità, vogliamo alimentarci a base di kurkuma, seitan, quinoa, va benissimo, ma in Italia gli stranieri vengono a mangiare gli spaghetti, la pizza. Facciamocene una ragione. Ora ce ne vergogniamo.

È questo il dramma. Calcistico s’intende. Davvero l’obiettivo è di cambiare il nostro dna pallonaro? Certo il calcio, come tutto, si evolve. Ma ciascuno partecipa all’evoluzione in base alle proprie caratteristiche. Che senso ha snaturarsi? Quel che sta avvenendo in Italia – a livello mediatico, potremmo dire anche culturale – è tra il grottesco e il pericoloso. Difendersi è considerato un’offesa. Se ieri avessimo pareggiato al 95esimo, quasi ce ne saremmo vergognati. Questa aberrazione ormai esiste solo nel calcio: davvero qualcuno sceglie un avvocato in base allo stile di scrittura dei ricorsi? O lo fa in base alle percentuale di vittoria alle cause? I medici, i chirurghi, come li selezionate? In base al portamento o all’arredamento dello studio, o ai risultati che ottengono nella cura delle malattie? Sveglia, ci stiamo rincoglionendo tutti. Ora ci stiamo accorgendo che aveva ragione Allegri. Non abbiamo uno che salti l’uomo. E non lo abbiamo perché le scuole calcio – come ha sempre denunciato Allegri – sono infestate da allenatorucoli che giocano a fare i mini Guardiola e a rovinare il talento dei bambini e dei ragazzini. Gli abbiamo riso in faccia, ad Allegri. E detto per inciso, con lui ct non l’avremmo mai persa la partita di ieri. Tra parentesi, gli spagnoli oggi i calciatori che saltano gli uomini li hanno. Hanno capito, loro. Dieci anni fa non li avevano.

Svegliamoci prima che sia troppo tardi. Se è questo il calcio che ci interessa, se vogliamo che l’Italia diventi la Spagna, ci attendono tempi durissimi.

 

 

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