Il Telegraph: “Campione della fatica, anti-star: ha battuto anche lo snobismo dell’establishment del tennis britannico”
Andy Murray non s’è ancora ufficialmente ritirato. In realtà sì, lo fece in Australia, era gennaio 2019: l’anca lo faceva impazzire, pianse. Poi quel ritiro se l’è rimangiato, s’è operato, ha continuato a giocare come Robocop, con un’anca di metallo tra infiniti problemi, fastidi e dolori. Gli ultimi dei quali (una cisti alla schiena, con conseguente operazione) gli strappano via la possibilità di giocare a Wimbledon – l’erba di casa sua – un’ultima volta in singolare. Farà il doppio, ha detto. E comunque ha intenzione poi di andare a Parigi per le Olimpiadi. Insomma, no: non ha ancora finito, Murray. Ma la stampa inglese ha deciso che la rinuncia al singolare di Wimbledon è il suo vero addio, e come tale lo celebra. Coccodrilli, pezzi celebrativi: la trafila di quando un grande campione muore. L’Inghilterra è in lutto preventivo per Murray.
Gli articoli sono tanti. Per il Guardian Tumaini Carayol scrive che “lascia l’eredità di un strepitoso combattente”. Ma il Telegraph piazza la doppietta migliore. Il saluto di Simon Briggs – la prima firma del tennis – è intimo, personale. Parla del suo rapporto con la stampa. Lo descrive come un assoluto gentiluomo, “diverso da chiunque altro”. “Guardando Cristiano Ronaldo monopolizzare la palla per il Portogallo lunedì sera, sembrava di guardare un marchio più che un essere umano. Una action figure che cammina, parla e piange. Lo stesso processo, una sorta di beatificazione laica, è toccato ad altri atleti di spicco, come David Beckham o Roger Federer. Ma non è mai successo ad Andy Murray . Per quasi due decenni nell’élite del tennis, Murray è rimasto concreto e coi piedi per terra: il tipo di persona che ti tiene aperta la porta. È questa non-starriness, forse più ancora del suo atletismo o della sua determinazione, che classificherei come la sua qualità migliore”.
Briggs dice che Murray era sempre molto disponibile, paziente, educato. Rispondeva ad ogni domanda con premura. “Anche dopo 15 anni, però, non mi sono mai abituato al suo sguardo da rettile. Quando fai una domanda alla maggior parte dei giocatori, di solito annuiscono o inclinano la testa o arricciano le labbra in qualche modo, come per dire: “Sì, capisco dove vuoi arrivare”. Murray si sporgeva verso di te e ti fissava con tanta attenzione e impassibilità che iniziavi a dubitare della premessa della tua domanda prima ancora di aver finito di porla. Mi sono sempre chiesto se fosse così che guardava gli avversari nervosi prima di rifilare loro il secondo servizio per un vincente”.
“Questa faccia da gioco intimidatoria era solo una delle stranezze del cervello molto risoluto e molto analitico di Murray. Non si è mai mostrato altezzoso e arrogante. A differenza di uno o due dei suoi colleghi, non sembrava pensare di essere migliore di te solo perché sapeva servire a 135 miglia orarie“.
“E’ sempre stato un gentiluomo fuori dal campo. Anche se persino il suo difensore più coraggioso avrebbe dovuto ammettere che trovava sempre più difficile controllare i propri impulsi non appena entrava nello stadio”.
Briggs racconta anche di quando si sottrasse ai giornalisti accorsi in Australia per il suo primo ritiro. Li fece incazzare, gli scrissero addosso di tutto (“L’inferno non ha la furia di un giornalista disprezzato”, scrive Briggs). Si spiegarono, si riappacificarono. “Chi avrebbe mai pensato che saremmo stati ancora a discutere degli interventi chirurgici di Murray sei anni dopo? Si può solo sperare che il suo corpo rattoppato non gli dia troppi problemi nel post-ritiro. Murray merita molto di meglio. Non solo ha portato gioia sconfinata a milioni di amanti dello sport britannici, ma stiamo parlando di uno degli uomini più perbene nello sport”.
Sullo stesso giornale Oliver Brown scrive che “la sensazione è che Murray lasci un cratere che il tennis britannico”. “Spesso ho trovato perverso il disprezzo che Murray suscitava, in particolare nei suoi primi anni. Non dovevi andare lontano a Wimbledon per sentire lamentele su come si vestiva, su come perdeva la calma, su come trascurava di radersi prima di competere di fronte alla Regina. Sono stati fatti paragoni poco lusinghieri con l’ordinato Tim Henman, amato in questo torneo per la sua dizione netta dell’Oxfordshire e per il suo bianco così immacolato che è diventato il volto del detersivo Ariel”.
Ma “Murray ha portato un soffocante fardello di aspettative per la maggior parte dei suoi 20 anni, e lo ha messo da parte in virtù del suo monumentale sforzo. Ecco un grande che ha combattuto le sue battaglie decisive da solo – contro il peso della storia, contro un complesso di inferiorità nazionale, contro lo snobismo dell’establishment del tennis britannico – e le ha vinte tutte”.
“Mentre Roger Federer, con i suoi movimenti da balletto e l’aria cortese, faceva sembrare il tennis beatamente facile, Murray ricordava a tutti che era dura. Si poteva vedere e sentire quanto gli facesse male, sia nelle sue invettive al vetriolo con se stesso che nelle sue grida di sfinimento mentre tirava fuori un altro improbabile risposta. Laddove Federer era dotato di un dono ultraterreno, Murray portava una fatica scavata da infinite ore da adolescente sulla terra rossa di Barcellona. Non è mai stato l’epitome del glamour, ha cercato semplicemente di essere un modello di lavoro”.
“Era sempre così rinfrescante, questa abitudine di Murray di inveire contro la mediocrità, I suoi critici più determinati possono borbottare se vogliono, continuando a rinfacciargli il suo atteggiamento lugubre o il fatto che una volta abbia suggerito che, da orgoglioso scozzese, avrebbe sostenuto chiunque tranne l’Inghilterra nel calcio. Presto scopriranno, tuttavia, che il vuoto che lascia ai Championships è incalcolabile”.