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Antonio Conte l’uomo che logora i presidenti, li tratta come se fossero suoi dipendenti

Ha spinto De Laurentiis a una campagna acquisti mai vista, alla Sensi, alla Moratti. Adl ha interiorizzato la lezione dei 91 punti e ha chiamato il medico

Antonio Conte l’uomo che logora i presidenti, li tratta come se fossero suoi dipendenti
Napoli's Italian head coach Antonio Conte looks on as he sits on the bench during the Italian Serie A football match SSC Napoli against Bologna FC 1909, at the Diego Armando Maradona Stadium in Naples on August 25, 2024. (Photo by CARLO HERMANN / AFP)

Antonio Conte logora chi ce l’ha. Dal momento in cui decidi di affidarti a lui, è chiaro che hai stabilito di abbandonare la tua comfort zone. Antonio Conte sposta quotidianamente i confini. Della struttura societaria. Della squadra. Dei singoli calciatori. Di ogni dipendente. Persino dei tifosi. Dal momento in cui Antonio Conte mette piede in un club, è come se avvenisse una inversione di sovranità. Il padrone è lui. Non si comporta da dipendente. Tutt’al più, fa comprendere che non porta con sé l’argent de poche. Come del resto faceva l’Avvocato. Lui disegna strategie. Lavora alla crescita complessiva del club. Al trasloco in un’altra dimensione.

Antonio Conte ha perpetuato a Napoli il miracolo di farsi comprare calciatori che nessun altro allenatore avrebbe osato chiedere. Non è uomo che si lascia soggiogare dall’ambiente. La consuetudine per lui non esiste. E se incontra ostacoli, comincia a scalciare. E non si ferma finché o ottiene quel che chiede, o imbocca la strada della separazione. È sempre andata così nella sua carriera.

E ne ha offerto un saggio anche a Napoli. Ha cominciato a scalciare Antonio, eccome se aveva cominciato. Un primo assaggio dopo Napoli-Modena di Coppa Italia con la vittoria ai rigori. E poi prima e dopo la disfatta di Verona. Con una conferenza che era stato un saggio di contismo in purezza. Il Napoli si era impantanato nelle sabbie mobili del calciomercato, nella perenne attesa della cessione di Osimhen: l’evento Godot di casa nostra. Da quella conferenza e da quella sconfitta tutto è cambiato. De Laurentiis ha rotto gli ultimi, comprensibili, indugi. Ha indossato panni che mai aveva indossato. Ha messo a segno colpi che entrano di diritto nella storia del Calcio Napoli. Novanta milioni, qualcosa in più e non in meno, in una settimana per tre calciatori acquistati dal Benfica, dal Chelsea e dal Manchester United. Altro che Clostebol, roba da antidoping.

Antonio Conte è il medico che De Laurentiis ha chiamato pur sapendo che la cura sarebbe stata dolorosa

Antonio Conte ha contribuito in maniera determinante a spostare e a stravolgere i confini della gestione imprenditoriale di Aurelio De Laurentiis. Che, a settantacinque anni – non a trenta – ha avuto il coraggio di lasciarsi convincere, di capire che il malato era davvero grave e che non c’era altra strada da percorrere per riportare il Napoli nelle gerarchie del calcio italiano e non solo. Mai De Laurentiis aveva speso tanto. Mai De Laurentiis aveva speso oltre trenta milioni per un calciatore di 31 anni come Lukaku. Ha preso vent’anni di Aurelionomics e li ha riposti sullo scaffale. Ha firmato una campagna acquisti alla Sensi, alla Moratti. E lo ha fatto senza aver ancora venduto Osimhen. Che sì, è un errore del passato, frutta della sua inestinguibile avidità. Ma gli errori si compiono. E si dimenticano o si metabolizzano. Si va avanti. La campagna acquisti del Napoli è stata scintillante. McTominay è un colpo che spiazza. Uno di quelli che ti fa scendere di casa alle tre di notte in macchina per suonare il clacson all’impazzata. Un calciatore che fino a oggi ha indossato una sola maglia: quella del Manchester United. E poi Lukaku. David Neres. Buongiorno.

Campagna acquisti che è frutto di una lezione che Aurelio De Laurentiis ha imparato. È la lezione dei 91 punti. Impiegò quattro anni e il sacrificio di un allenatore come Ancelotti (per Gattuso, che il dio del calcio un giorno possa perdonare Aurelio) per capire che quella squadra era arrivata, che occorreva far circolare aria nuova nello spogliatoio. Aria che, preferibilmente, non parlasse napoletano. Che neanche lo comprendesse. Il Napoli ha vinto lo scudetto con lo spogliatoio meno contaminato di sempre con la città. C’erano un georgiano, un coreano, un nigeriano…

Ha chiamato Conte per questo. Per cambiare di nuovo aria. Sapeva che il tecnico leccese lo avrebbe spinto oltre i propri limiti. Sapeva pure che avrebbe sofferto. Ha chiamato il medico sapendo che gli avrebbe procurato dolore e rischi. Era consapevole che non esisteva altra cura. Le terapie non sono una passeggiata di salute. Da domani nello spogliatoio del Napoli si respirerà un’aria diversa. Persino con accento scozzese. Addio sconfittismo. Addio depressione da decimo posto. La storia del calcio è zeppa di squadre che hanno vinto e che il giorno dopo non hanno più funzionato perché arrivate a saturazione. E solo un uomo poteva spingere De Laurentiis a una rivoluzione tanto sconvolgente quanto obbligatoria. Quell’uomo è Antonio Conte l’allenatore che tratta i presidenti come se fossero suoi dipendenti.

p.s. Ad Antonio Conte va riconosciuto un altro merito. Ha riportato quel che possiamo definire l’effetto Maradona. Nell’era mesozoica, quando c’era Diego, i tifosi delle altre squadre si preoccupavano per i loro colleghi del Napoli perché – a loro dire – costretti a subire le bizze di quel che consideravano l’incarnazione dei mali del mondo. Oggi, sempre i tifosi delle altre squadre, si preoccupano per la salute del bilancio del Napoli. Un altruismo commovente.

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