Alle Olimpiadi del 64. Fu la Iaaf ma allora il Cio non disse nulla e la carriera della polacca distrutta
Ewa Kłobukowska 60 anni prima di Khelif: si inventarono un cromosoma di troppo e le tolsero due medaglie
Imane Khelif ha vinto l’oro nella boxe nei 66 kg alle Olimpiadi di Parigi 2024. È ora di celebrare ma nessuno si illuda in una sua riabilitazione a 360 gradi dopo il match con Angela Carini. Pesa e continuerà a pesare sulla sua persona l’estromissione dai mondiali del 2023 da parte della filo-putiniana Federazione internazionale di boxe (Iba) per questioni ormonali e presunte anomalie cromosomiche.
Anche la Polonia ha avuto il suo caso Carini-Khelif a Parigi. La settimana scorsa la judoka messicana Prisca Awiti Alcaraz ha conquistato la prima medaglia in questa disciplina nella storia del suo Paese. Nel suo cammino verso l’argento nella categoria 63 kg la messicana ha mandato al tappetto anche la polacca Angelika Szymańska agli ottavi di finale. Una sconfitta che non è andata giù in patria a Paweł Jabłoński, deputato della destra populista di Diritto e giustizia (Pis), il quale ha messo in dubbio senza fornire alcuna prova l’identità della Awiti Alcaraz per via delle sue fattezze androgine. Da lì è partita una campagna di odio sul web messa a tacere grazie all’intervento della stessa Szymańska che ha garantito sul sesso e la correttezza della rivale messicana. Chissà come avrebbero commentato l’accaduto i vari alfieri in difesa della Carini come Elon Musk, J.K. Rowling, Donald Trump oppure la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella.
Intanto è inutile vagheggiare, il conflitto tra l’Iba e il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) pare avviato a durare almeno fino a quando uno dei tanti scenari di fine guerra in Ucraina non sarà diventato realtà. A tal proposito vale la pena ricordare che la federazione presieduta dall’ex pugile russo e oligopolista delle scommesse sportive Umar Kremlev aveva fatto fuori due anni fa la federazione pugilistica ucraina. Trattasi del perfetto esempio di “guerra tiepida” tra la Nato e Mosca traslata su un piano sportivo.
La bullizzazione di atleti e atlete può avere effetti devastanti. Lo ho ribadito la stessa Khelif in un’intervista prima del trionfo olimpico che porta con sé un grido di angoscia e la paura di fare la fine di Ewa Kłobukowska, una velocista polacca vittima dalla damnatio memoriae orchestrata nel 1967 dalla federazione internazionale dell’atletica leggera, al secolo Iaaf. Una vita da contabile quella della sprinter varsaviana con in mezzo il record nei 100 metri col tempo di 11″1 conquistato a Praga e dichiarato poi nullo dalla Iaaf. Anche se allora il Cio non aveva difeso la Kłobukowska (o forse soltanto le proprie scelte) come invece ha fatto con Khelif, quanto meno non le avrebbe tolto le due medaglie conquistate ai giochi di Tokyo nel 1964: un oro nella staffetta 4×100 metri e un bronzo nei 100 metri piani.
Per la Iaaf, l’atleta donna di nascita avrebbe avuto un “cromosoma di troppo”. La storia si ripete sessant’anni dopo con Khelif. L’Iba continua a non fornire prove della presunta anomalia cromosomica della pugilatrice algerina così come la Iaff non ha mai spiegato in pubblico il tipo di irregolarità congenita che portò alla squalifica di Kłobukowska. È stata lei la prima vittima dei test del sesso introdotti in ambito sportivo dalla Iaaf proprio in quegli anni.
Bisogna rassegnarsi, non si saprà mai con esattezza quali atleti medagliati o meno si siano spacciati per atlete nei decenni precedenti. La storia dello sport questo non può dircelo. Ma gli errori e dubbi legati al test del sesso possono distruggere una persona sportivamente e non solo. È qui che è venuta a mancare quella trasparenza sul quale anche il Cio ha ammesso di dover lavorare in futuro: “Condividiamo punti di vista e siamo d’accordo sul chiarire e migliorare il background scientifico di cui
abbiamo parlato”, ha ammesso il presidente del massimo organico olimpico dopo aver incontrato la settimana scorsa a Parigi e la premier Giorgia Meloni, il presidente del Coni, Giovanni Malagò.
L’Iba dal canto suo invece pare destinata a restare opaca negli anni a venire. Oltretutto difficilmente si scuserà con la Khelif in perfetto stile Iaaf, la quale non ha mai avuto il coraggio di fare penitenza dopo aver rovinato la carriera e la vita di Kłobukowska. I vertici dell’atletica di allora non lo hanno fatto nemmeno dopo che è venuta fuori la notizia che la sportiva polacca avrebbe partorito un figlio in patria. Che la stessa Khelif sia costretta a rimanere incinta per mettere a tacere ogni teoria del complotto da parte di Musk, J.K. Rowling, Trump e populisti vari sul Vecchio Continente?