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Minacce di morte, Lotito si fa controllare i telefoni per scoprire i colpevoli

Al Messaggero le sue parole: «Minacce, insulti. Chiamano con lo sconosciuto e pensano che non li scopro. Ora basta, si è superato il limite»

Minacce di morte, Lotito si fa controllare i telefoni per scoprire i colpevoli
As Roma 10/01/2024 - Coppa Italia / Lazio-Roma / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: Claudio Lotito

Lotito passa alle maniere forti. Il patron della Lazio ha deciso di farsi controllare i telefoni per scoprire chi sono coloro che da mesi lo minacciano di morte.

A scriverlo è il Messaggero che riporta anche le parole di Lotito.

Giudici che intercettano i politici? Eresia per la destra al governo, decisa a frenare le incursioni dei pm negli onorevoli cellulari. A volte però è necessario, perfino urgente dare quel lascia-passare. Lo ha fatto Claudio Lotito, patron della Lazio e senatore di Forza Italia, permettendo alla Digos e alla procura di Roma di accedere ai suoi tabulati telefonici e scoprire finalmente chi, da mesi, lo perseguita dalla mattina alla sera. Minacce di morte, tentate estorsioni, insulti. Brutto clima. «Al tuo funerale prosecco e caviale». Striscioni cosi tappezzano cavalcavia e mura della Capitale ormai da diverse settimane.

Di qui la controffensiva giudiziaria del presidente biancoceleste.
L’ultima parola spettava al Senato guidato da Ignazio La Russa: non si può frugare nei dati telefonici di un parlamentare senza esplicito via libera della camera.
E il via libera è arrivato: la giunta per le immunità ha concesso ai pm l’autorizzazione a procedere «con riguardo all’acquisizione dei dati di traffico telefonico/telematico» di Lotito. Ora spetterà all’aula confermare. E un caso sui generis, perché di solito accade il contrario. I pm chiedono di accedere ai dati telefonici del senatore e del deputato di turno. E la giunta spesso fa muro, replica: no grazie. Questa volta però c’è in ballo l’incolumità di Lotito, che da mesi subisce minacce di morte e ricatti di ogni genere.

Lotito, dietro alle minacce i tifosi della Lazio

Chi sono i persecutori? Non ci vuole fantasia per capirlo, se è vero che il grosso delle telefonate nel mirino dei giudici verte su un solo argomento: la Lazio. È un tormento continuo, i quattro, cinque cellulari che il presidente della squadra biancoceleste tiene sempre in tasca squillano a ripetizione. «Ecco, l’ultimo mi ha chiamato tre minuti fa», sospira stanco, arrabbiato al telefono Lotito. E che diceano, presidente? «Minacce, insulti. Chiamano con lo sconosciuto e pensano che non li scopro, ma adesso scopriamo chi sono. Vogliono che venda la società, la Lazio non è in vendita».

È una furia. Ci penserà la Digos ora a dare la caccia ai tormentatori seriali. Il confine tra goliardia e minacce è sottilissimo. Di recente, per capire, un gruppo di ultras laziali ha inscenato il funerale di Lotito nel cuore di Ponte Milvio, quartier generale del tifo biancoceleste. Fumogeni, fischi e un coro continuo: «Signore portalo via».

«Io sono da sempre un combattente e mai un reduce», ringhia di rimando il patron della Lazio (cintura nera di aforismi e metafore latinorum), «ma a tutto c’è un limite e qui è stato superato».
Dietro la persecuzione che ora ha mobilitato il Senato in sua difesa, ne è convintissimo, c’è una regia.
Altroché scherzi. «Stampano manifesti, li attaccano sui cavalcavia. Si rende conto?». Tensioni antiche, quelle tra il presidente e lo zoccolo duro della Curva Nord.
Lungo cahiers de doléances. Svetta la rabbia per una gestione sempre oculata, per cosi dire, del calciomercato estivo. I tifosi almeno la mettono così. Lotito, ovviamente, la vede all’opposto. Gli ultras gli hanno affibbiato il nomignolo di “Lotirchio”, lui invece si sente
“Lotutto”. I risultati in effetti parlano. «Sono presidente da 20 anni e non mi sembra che la Lazio stia fallendo – dice l’imprenditore a capo di un impero di società impegnate nelle pulizie – dopo la Juve è il club con più trofei in Serie A, ha sempre posizioni decenti in classifica, i conti in ordine e un fatturato trasparente. Non sono una cicala, ma una formica».

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