Il dibattito scientifico è morto su quel ring. Peraltro il caso Khelif è controverso: squalificata da una federazione putiniana bandita dal Cio per corruzione
Angela Carini, per una questione di igiene comunicativa, non sarebbe dovuta salire quel quel ring. Oppure sì ma poi al primo destro di Khelif giù, al tappeto! Di schianto, come nei film quando il Rockybalboa del caso piroetta con gli occhi al contrario prima di crollare mentre una voce al rallentatore gli conta la fine. Oppure – pensa quanti condizionali in un attacco solo – avrebbe fatto bene a stendere lei l’algerina troppo maschia per essere femmina, mandando kappaò con un sol colpo avversaria, dibattito etico e politica sciacalla annessa. E invece i pesi welter della boxe femminile olimpica (un torneo che solitamente richiama 3-4 spettatori, nonni e zii compresi) sono diventati la scena d’un delitto con troppi moventi e indizi tutti contrastanti. Un gran casino, per dirla tecnicamente.
Perché Angela Carini è salita sul ring a rimorchio d’un caso internazionale già scoppiato, ha accettato di combattere contro un’atleta controversa, ha preso un destro sul naso, e dopo 46 secondi s’è ritirata. Non ha salutato Khelif. S’è inginocchiata. Ha pianto. E poi – mentre online già sbuffavano i titoloni dello “scandalo” – invece di intestarsi la protesta, ha schivato: “Non pensavo alle polemiche, a lei auguro di vincere. Non sono nessuno per giudicare”. Ma come? “Mi faceva troppo male il naso, non potevo continuare”. C’è un giornalista che sullo sfondo oppone un razionale “sì vabbé, ma questa è la boxe. Si usano i pugni…”, ma lei no, si rifiuta di consolare l’opinione pubblica: “Mi faceva male il naso”.
Il dt Renzini, per rendere tutto più flambé, non le ha retto il gioco: “Poteva batterla, non è imbattibile. Avrei preferito non salire proprio sul ring. Almeno sarebbe stata una protesta”. Carini nel frattempo dettava la sua storia di combattente alla stampa, a rafforzare tutti i dubbi possibili: ci fa o ci è? avrebbe detto qualcuno prima di finire al rogo sui social.
Sugli stessi social la realtà aveva già preso a girare con logiche fantasy: la solidarietà di Elon Musk e Jk Rowling ad Angela Carini vale il binario 9 e 3/4 di Harry Potter.
Carini e la riduzione a Smemoranda d’una questione terribilmente complessa
Era già tutto andato in vacca, peraltro molto prima che Salvini intingesse i suoi tweet nella solita grammatica dei vocaboli binari a casaccio: “woke”, “gender”, “trans”. La riduzione a Smemoranda d’una questione terribilmente complessa – i confini tra categorie biologiche, la giustezza e l’opportunità dei test medici, l’etica sportiva, l’equità – è la vittima che giace lì, davanti agli occhi di tutti.
Val la pena di ricordare che Khelif non è una donna trans. È una donna. E che gli esami a cui l’hanno sottoposta non sono pubblici. Il Cio ha solo comunicato che rispetta i criteri per l’accesso alle categorie femminili. E l’innesco della vicenda si deve ad una squalifica comminata prima d’una finale mondiale (e quindi nel corso di un torneo a cui era stata ammessa) dall’International Boxing Association, sulla base di non meglio specificati test (non sul testosterone, in ogni caso). L’Iba è la federazione di pugilato che il Cio ha squalificato anni fa per corruzione, e il cui presidente, Umar Kremlev, è un imprenditore russo vicinissimo a Putin che ha spostato in Russia la sede dell’organizzazione. Il main sponsor dell’Iba è Gazprom.
Khelif, come peraltro ha detto il dt Renzini, non è Mike Tyson: aveva già partecipato alle Olimpiadi di Tokyo nel 2021, e aveva perso ai quarti di finale per 5 a 0. Nella comunità scientifica la correlazione tra risultati sportivi e livelli di testosterone è sempre più messa in discussione. Ma la discussione sul merito, a questo punto, è finita nel sottoscala della gerarchia delle notizie.
Carini è rimasta incastrata in un imbuto. S’è arresa al dolore – dice lei – o alle pressioni, probabilmente. Non ha avuto il talento politico di cavalcare l’onda, s’è fatta travolgere. Poteva restare lontana da quel ring, o poteva invece restarci inchiodata. Ha invece scelto – involontariamente – un terrificante “tutto e il contrario di tutto” che avrebbe incasinato anche il più accorto democristiano di pentapartito. E’ finita – curioso che in Italia ultimamente finisca sempre così – che sulla questione ha sentenziato Vannacci. E le Olimpiadi, forse l’umanità tutta, non se lo meritavano.