Aldo Grasso: quando il proverbiale «narcisismo dell’artista» diventa incontenibile, si presta più attenzione alla voce che all’evento in sé
Se i telecronisti fossero anonimi invece di sovrapporsi all’evento sportivo (Corsera). Ne scrive Aldo Grasso nella sua rubrica sul Corriere della Sera.
Scrive Grasso:
Ho fatto un modesto esperimento, forse di nessuna utilità, nient’altro che una divagazione (stra)vagante. Tutte le volte che seguo l’Olimpiade di Parigi su Discovery+ non mi preoccupo di conoscere i nomi dei telecronisti e dei commentatori (chiedo umilmente scusa, a volte la verifica impone queste scelte). Come fossero voci anonime. Sempre un po’ troppo invasive ma senza nome.
Come leggere l’«Economist» o «Il Foglio» o «Il Post»: ho cercato che venisse anteposta una voce collettiva a quelle individuali. Scorrettezza critica vuole che «quando non puoi attaccare il ragionamento, almeno puoi attaccare il ragionatore»: quando il telecronista si sovrappone all’evento che sta raccontando, quando il proverbiale «narcisismo dell’artista» diventa incontenibile, la tentazione di scagliarsi contro di lui è forte (ma oggi non si fanno nomi).
Con telecronisti low profile, presteremmo più attenzione all’evento
Ebbene, che succede quando il «ragionatore» non si palesa, quando salta quella determinazione, quel confine dato dal nome del cronista o commentatore? Apparentemente nulla e qualcuno potrebbe ricordare che con il telecomando c’è sempre la possibilità di togliere il sonoro. In realtà, qualcosa succede. La telecronaca diventa una sorta di piacevole rumore di fondo, qualcosa di simile alla voce di un navigatore.
Ammesso che gli eventi sportivi riuscissero a sopravvivere in televisione con telecronisti anonimi (la vedo dura), sono sicuro che la nostra percezione cambierebbe: staremmo più attenti a quello che succede sullo schermo e meno al narratore. La traccia del telecronista sta ormai solo nella singolarità della sua assenza, protetta dal fervore ritemprante dell’anonimato.