“Certo il loro duello è meno tenero, meno empatico. E poi stavolta c’erano in ballo 50.000 euro, Tamberi avrebbe diviso l’oro?”
Tre anni prima, Tamberi stava benone. E “splittò” l’oro del salto in alto a Tokyo con il suo amico e rivale, Mutaz Essa Barshim. Ce lo ricordiamo tutti quel momento di festa, di gioia. Fu molto celebrato. A Parigi la storia poteva ripetersi: Hamish Kerr e Shelby McEwen hanno saltato 2,36 metri, e poi entrambi hanno fallito i tre tentativi a 2,38. Che si fa? Pareggione? Due ori? Macché: si sono guardati e ciao: giochiamocela. Kerr è stato il primo a rifiutare l’oro condiviso e McEwen era completamente d’accordo. Alla fine ha vinto Kerr.
El Paìs ci ritorna con un editoriale di Manuel Jabois. Il quale ricorda che stavolta c’erano in ballo anche i 50.000 euro che Word Athletics paga alle medaglie d’oro. “E ci sono famiglie da sfamare”, ha detto McEwen. “Cosa avrebbero fatto Tamberi e Barshim se avessero dovuto spartirsi 50mila euro? Lo spirito olimpico incoraggia a condividere la vittoria o a lottare per essa fino alla fine?“, si chiede malignamente El Paìs.
Kerr dice che la decisione di rompere la parità ha avuto a che fare anche con il fatto di non derubare il pubblico e gli spettatori della competizione fino alla fine. “Le immagini di Kerr e McEwen che saltano quasi senza forze, con la schiena e le gambe sempre più danneggiate, lottando affinché ne rimanga solo uno con la vittoria, sono meno empatiche, meno calde, meno tenere di quelle di Tamberi e Barshim che saltano di gioia”. Ma, conclude il giornale spagnolo, “hanno la presunzione di ammirare l’eccezione, perché se in ogni competizione accadesse la stessa cosa (due avversari, addirittura due squadre, che lottano fino alla fine senza riuscire a risolvere il pareggio, ed entrambe vengono premiate) assolutamente tutto sarebbe corrotto. È bello che vincano tutti, ma è competizione?”.