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Velasco: «Non uso social ma sono dappertutto e mi fanno dire frasi fatte mai dette o dette in contesti specifici»

A Sportweek: «Come ho rilanciato la nazionale? Ho cercato le più forti e ho detto loro che non dovevano essere amiche, dovevano fare squadra»

Velasco: «Non uso social ma sono dappertutto e mi fanno dire frasi fatte mai dette o dette in contesti specifici»
Italy's head coach Julio Velasco (C) celebrates with Italy's #18 Paola Ogechi Egonu and team mates after the volleyball women's quarter-final match between Italy and Serbia during the Paris 2024 Olympic Games at the South Paris Arena 1 in Paris on August 6, 2024. Italy won the match 3-0. (Photo by PATRICIA DE MELO MOREIRA / AFP)

Sportweek ha intervistato Julio Velasco, ct dell’Italvolley femminile. Ha preso la nazionale solo nell’autunno del 2023 e l’ha portata a vincere Nations League e Olimpiadi.

Velasco: «Io come Mura, a lui piaceva scrivere invece che diventare direttore. Ecco, anch’io voglio scrivere»

Velasco di solito tratta vittorie e sconfitte alle stesso modo, ha detto che conquistare un Mondiale, come ha fatto due volte, è anche più difficile… Ma l’Olimpiade è un’altra cosa.
«Sì, perché raccoglie l’interesse di tutti. I Giochi hanno un palcoscenico globale, sono il grande evento dello sport. Per questo credo che il successo delle Azzurre avrà un effetto straordinario sulla pallavolo, non solo femminile, in Italia».

Come ha fatto a rilanciare Egonu, Bosetti e De Gennaro, che meno di un anno fa erano fuori dal progetto azzurro?
«Non entro nel merito delle scelte tecniche perché fanno parte delle decisioni da prendere in certi momenti e in certe circostanze. Io ho cercato le più forti, che non dovevano essere amiche, ma dovevano fare squadra. Con ognuna di loro ho parlato personalmente e sapevo di poter contare sul loro impegno»

«Con ognuna di loro ho dovuto lavorare sull’ansia e sulla gestione del momento. Le donne che fanno sport di alto livello
sono delle terribili perfezioniste e tendono a colpevolizzarsi per ogni piccolo errore. Ecco, ho lavorato tanto sulla gestione dell’errore. Per me, e ho cercato di convincere tutte loro, l’errore non esiste. In campo gridavo: “Avanti… è una fake
news…”. Proprio così, chiamavamo fake news gli errori. Perché è meglio lasciarli subito alle spalle. Poi ho preteso l’abolizione del “Mia!”. In campo tutte tendono a gridare “Mia” quando è evidente a tutte chi deve andare sulla palla. Lo abbiamo concesso soltanto a Paola Egonu, perché tutti sappiamo chi è Paola.

Anche lei, a volte, è stato scavalcato dal suo personaggio.
«Purtroppo… E pensare che io non sono su alcun social. Ma se entro nella Rete mi trovo dappertutto e mi fanno dire frasi
fatte che non ho mai detto o che ho detto in un contesto specifico. Come la frase “chi vince festeggia e chi perde spiega”
che era stata espressa per dire che non serve giustificare la sconfitta. Ma viene usata un po’ per tutto. Ormai so che devo convivere con il personaggio Velasco, cui fanno dire di tutto. Ma la cosa non mi preoccupa più di tanto».

Che cosa le è rimasto dell’esperienza nel mondo del calcio?
«Intanto voglio dire che sono uscito dal calcio con più rispetto di quanto ne avevo entrando. Mi è piaciuto il contatto diretto con i calciatori, gli allenatori e lo staff: tutti di grande qualità perché non arrivi in Serie A se non sei bravo, anzi molto bravo. A volte ci dimentichiamo che i calciatori sono soltanto ragazzi che giocano a calcio perché a loro piace il calcio. Certo, hanno ingaggi altissimi e grandi pressioni, ma quello che li porta lì è la passione per il calcio e questo dovremmo sempre ricordarlo».

Perché ne è uscito?
«Perché il ruolo di dirigente non è fatto per me. Guadagnavo molto bene, mi davano davvero tanti soldi, ma a un certo
punto ho capito che a me piace allenare. Quello è il mio ruolo…. Ricordo che in quei tempi avevo molto legato con
Gianni Mura, un grande giornalista e per me un amico. Un giorno mi invitò a cena a Milano e mi disse che gli avevano
proposto di diventare caporedattore, per occuparsi del lavoro degli altri e magari un giorno diventare direttore, ma lui
disse di no perché voleva scrivere, a lui piaceva scrivere. Ecco, anch’io voglio scrivere…»

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