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Velasco più forte della maledizione. Ha creato una squadra. E ha recuperato una fuoriclasse: Paola Egonu

Dominio assoluto in finale. Tre a zero agli Stati Uniti. In pochi mesi Velasco ha rimesso insieme i cocci di un disastro firmato Mazzanti

Velasco più forte della maledizione. Ha creato una squadra. E ha recuperato una fuoriclasse: Paola Egonu
Italy's head coach Julio Velasco reacts in the women's volleyball gold medal match between USA and Italy at the South Paris Arena 1 in Paris during the Paris 2024 Olympic Games on August 11, 2024. (Photo by PATRICIA DE MELO MOREIRA / AFP)

Velasco più forte della maledizione. Ha creato una squadra. E ha recuperato una fuoriclasse: Paola Egonu.

Oro. Medaglia d’oro della pallavolo femminile. Julio Velasco, come Siddharta, ha saputo aspettare. E ha aspettato che arrivasse il suo turno. È arrivato. Perché il suo predecessore, il signor Mazzanti, aveva rovinato una squadra di talenti. E aveva rovinato il talento più puro: Paola Egonu. Velasco in poco tempo ha rimesso insieme i cocci, ha creato una squadra, ha saputo estrarre da ogni giocatrice il meglio di sé. Questo è il compito di un allenatore. E Velasco ha portato l’Italia della pallavolo a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi. E ha chiuso un cerchio personale. Nella sua straordinaria carriera mancava l’oro olimpico. Finale stravinta contro gli Stati Uniti. Tre a zero. Un dominio assoluto.

Velasco è semplicemente un gigante.

Velasco: «Non sono Baggio, non ho mai avuto l’ossessione per quell’oro mancato ad Atlanta» 

Egonu: «Velasco molto bravo a unirci tutte e a costruire quella squadra che mancava da un po’».

Velasco, un po’ buddismo e un po’ militanza. Ha portato l’Italia fuori dal villaggio olimpico (Relevo)

Velasco sta riportando la nazionale italiana di pallavolo femminile lì dove merita di stare, tra le grandi. Non che prima non lo fossero, ma l’impressione è che con Velasco le “ragazze terribili” stiano finalmente ingranando la marcia e mostrando il loro vero potenziale. Velasco è nella leggenda della pallavolo italiana: negli anni ’90 con la generazione dei fenomeni della nazionale maschile italiana vinse di tutto e di più. Tranne l’oro olimpico che sembra essere un tabù. Ora però ha l’occasione di vincerlo con la nazionale femminile, che staserà sfiderà la Turchia per guadagnarsi un posto in finale alle Olimpiadi.

Relevo elogia Velasco in un pezzo dove parla del suo decalogo.

“Ci sono due punti fondamentali nel decalogo della leadership del tecnico di pallavolo Julio Velasco (La Plata, 1952), che affronta la semifinale contro la Turchia questo giovedì (ore 20). Ci si concentra proprio sulla figura dell’allenatore che non deve imporre ma persuadere, e per questo è necessario eliminare il “karma” del giocatore che perseguita quasi tutti i tecnici”.

In sostanza, per Velasco bisogna eliminare il giocatore che è dentro di sé: “Quello che normalmente lo incita, vanamente, a non delegare e ad essere autosufficiente, almeno a volerlo mostrare, a sembrare tale. A fare più che insegnare convincendo. «Quel giocatore bisogna ucciderlo e basta», dice.

L’altra premessa fondamentale è l’ultima: «Chi vince festeggia, chi perde spiega». Da lì, da quella lucidità e da quel carisma, si spiega perché ha quasi mezzo secolo di carriera sportiva alle spalle e perché sta cercando con la squadra italiana di pallavolo femminile quella che sarebbe la prima medaglia d’oro olimpica della storia. Per lui non esistono barriere, ma solo opportunità”.

Relevo racconta Velasco:

Per capire l’uomo che oggi è considerato il miglior allenatore del mondo, bisogna guardare indietro, molto indietro. In particolare, quando ha iniziato nel 1979 al Ferrocarril Oeste. C’è stato un momento in cui, come Marco Polo, ha navigato verso Oriente per allenare la nazionale iraniana (2011-14), per poi tornare nella sua Argentina. In precedenza aveva allenato la Spagna, ereditando la squadra di Andrea Anastasi (campione d’Europa nel 2007). Ha lavorato nel calcio anche come collaboratore di Lazio e Inter, e sì, il Santo Graal è stato sempre trovato e custodito nella sua terra d’adozione: l’Italia, la sua particolare Itaca. Lì ha collezionato anche esperienze a livello di club, come Modena, Gabeca e Piacenza.

Negli anni Novanta, Velasco era già allenatore della nazionale maschile e femminile, con la quale vinse cinque medaglie d’oro ai Campionati europei e mondiali. Era il gruppo forte di Andrea Zorzi, Andrea Giani, Paolo Tofoli, Pasquale Gravina e Andrea Lucchetta, tra gli altri. In mezzo, altre esperienze per sublimare il suo repertorio motivazionale… Per poi tornare nel 2023 a fare il commissario tecnico delle ragazze, che per la prima volta aspirano al vertice.

Velasco, i suoi metodi rivoluzionari sono tornati in auge

L’idea di tornare nel luogo in cui ha sempre avuto successo, non ha spaventato più di tanto Julio Velasco i cui metodi rivoluzionari sono tornati in auge: il gruppo è fuori dal Villaggio Olimpico secondo lui grande fonte di distrazione e di inutile consumo di energie. Non è stato facile spiegarlo a uno spogliatoio che comprende Sarah Fahr e Paola Egonu, la migliore giocatrice del mondo (tre Champions League e due scudetti negli ultimi cinque anni con tre squadre diverse).

Ecco l’opinione di questo santo laico: «Per vincere non è necessario essere amici o andare a cena insieme. Bisogna aiutarsi in campo e questo basta». Forse c’è qualcosa di tutto questo in quella Lazio del ’74, la Lazio di Chinaglia, quella delle armi che regnavano in uno spogliatoio completamente diviso in due. Piena di calcio e di rabbia, insieme, forse, hanno vinto lo scudetto più emozionante della storia del campionato italiano. In campo avrebbero ucciso chiunque per aver difeso un compagno di squadra; fuori dal campo si odiavano, si odiavano a morte. Quel cocktail portò alla gloria.

Relevo continua:

“Dopo la vittoria imperiale sull’Olanda – con prestazioni maiuscole di Sylla e Antropova – negli ottavi di finale e la gerarchia mostrata contro le campionesse del mondo della Serbia che ha portato la squadra ad arrivare tra le prime quattro a Parigi, è necessario salvare l’ennesimo punto del decalogo di un grande maestro, a metà strada tra buddismo e militanza, quei due opposti che a volte sembrano volersi toccare con la punta delle dita. Quei due mondi che, anche se apparentemente contraddittori, sono così estremamente simili che alla fine quello che abbiamo sempre fatto è stato sottolineare le loro differenze, esagerandole ancora di più. Il segreto è abbracciare la propria nemesi, la propria ombra”.

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