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Il Napoli di Verona è figlio della finta rivoluzione, delle non scelte di mercato

De Laurentiis e Manna dovevano dare a Conte una squadra in linea con le sue idee. Se i centri di gravità sono sempre gli stessi, non c’è soluzione

Il Napoli di Verona è figlio della finta rivoluzione, delle non scelte di mercato
Verona 18/08/2024 - campionato di calcio serie A / Hellas Verona-Napoli / foto Image Sport nella foto: gol Livramento

Il Napoli in ostaggio

In occasione di gare come Verona-Napoli 3-0, è inevitabile che l’analisi tattica vada agitata e mescolata con considerazioni di altro tipo. Perché, molto semplicemente, la prestazione della squadra di Conte al Bentegodi è figlia di diverse dinamiche, non va fatta risalire solo a ciò che non ha funzionato in campo, alle scelte dell’allenatore, alle mosse tattiche dell’avversario: è una disfatta innanzitutto progettuale, o quantomeno segna il fallimento di quanto fatto finora. Dalla società, dai giocatori, dall’allenatore. E l’ordine in cui abbiamo snocciolato i colpevoli non è casuale, almeno secondo chi scrive.

Il problema emerso a Verona – ma anche contro il Modena, una settimana fa – è che il Napoli è ostaggio di se stesso. Di alcuni giocatori, di alcuni concetti, quindi di alcuni problemi vissuti già nella scorsa stagione. Questa condizione, naturalmente, non può che essere addebitata alla società. Alle scelte – o meglio: alle non-scelte – fatte sul mercato. Ieri, a Verona, nella formazione titolare di Conte c’erano dieci giocatori presenti in organico un anno fa. Di questi dieci, nove c’erano anche nell’anno dello scudetto. Ed è da qui che bisogna partire: nel momento in cui De Laurentiis e Manna hanno scelto e preso un nuovo tecnico, il loro compito era – sarebbe ancora – quello di affidargli una squadra in linea con le sue idee. Non gli stessi calciatori di un anno fa, da adattare a un nuovo sistema. A un nuovo tipo di gioco.

Questa può considerare una considerazione di mercato e quindi progettuale, ma è anche una considerazione tattica. È facile capire cosa intendiamo: come il Napoli è in ostaggio di Osimhem sul mercato, così la squadra azzurra è ostaggio di Politano, Lobotka, Simeone, Raspadori, Juan Jesus, Di Lorenzo sul campo. Potremmo aggiungere altri nomi, persino quello di Kvaratskhelia. Ma a questo punto, anche per corroborare questa nostra tesi, andiamo a vedere cos’è successo – e cosa non è successo – ieri a Verona.

Tutto già visto

Il Napoli si è presentato al Bentegodi, come detto, con una squadra già vista. Nel senso che era il Napoli dello scorso anno, solo schierato con il 3-4-3. Con Di Lorenzo braccetto e Mazzocchi quinto a destra, con Rrahmani e Juan Jesus a completare la difesa. Con Lobotka e Anguissa a centrocampo, con Spinazzola unica novità sull’out di sinistra. E con Kvara e Politano esterni d’attacco ai lati di Simeone. Gli spunti tattici sono gli stessi intravisti durante Napoli-Modena: fase offensiva organizzata con il 3-2-5 che spesso scalava e diventava 2-3-5, interscambi continui tra Di Lorenzo, Politano e Mazzocchi, esterni d’attacco che di frequente venivano a giocare dentro il campo, a volte anche più stretti rispetto ai quinti di centrocampo. Ecco qualche immagine:

Nello screen in alto, vediamo Di Lorenzo in posizione di laterale a tutta fascia, Mazzocchi e Spinazzola più avanzati rispetto a Kvara e Politano; stessa dinamica nel frame sopra, con Politano sottopunta e Kvara mezzala in fase di impostazione.

Il Verona, si vede chiaramente da questi frame, ha risposto in modo difensivo ma non speculativo: blocco compatto nella sua metà campo in fase di difesa posizionale, quando il Napoli riusciva a superare la prima linea di pressione, ma poi anche marcature uomo su uomo e pressing aggressivo sulla prima costruzione. Prima costruzione che, va detto, è risultata quasi sempre lenta e priva di reali sbocchi in verticale. E questo è un problema che va in qualche modo addebitato a Conte: l’ex tecnico di Juve e Inter ha sempre saputo dare alla sua squadra dei meccanismi importanti in fase di impostazione, agevolato anche dalla sua predilezione per la difesa a tre – un sistema che ti garantisce quasi sempre superiorità numerica quando la manovra parte dal basso. In questo senso, come dire, i problemi di organico del Napoli hanno un peso relativo.

A discolpa di Conte, però, va detto anche che in pratica ha dovuto lavorare con e sugli stessi uomini dell’anno scorso – l’abbiamo già detto, sì, ma questo è il nocciolo della questione. A questa inspiegabile continuità, è necessario aggiungere l’assenza totale di un attaccante che dia profondità al Napoli. E che così crei spazio ai suoi compagni. Ci stiamo riferendo a Lukaku, ma anche – eventualmente – a Osimhen.

Ecco, è proprio per questo che prima abbiamo parlato di Napoli in ostaggio: con Simeone a cui piace rinculare e non si butta mai alle spalle dei centrali avversari, con Politano e Kvaratskhelia a cui piace ricevere palla tra le linee, tra i piedi e a piede invertito, con Di Lorenzo che chiede e ottiene gli stessi interscambi di posizione di una o due stagioni fa, con Raspadori che entra dalla panchina e risulta impalpabile, per non dire etereo, cosa può inventarsi Conte? Certo, l’abbiamo detto: gli azzurri potrebbero/dovrebbero essere più fluidi e più puliti nel primo possesso, ma a un certo punto il primo possesso finisce. Ed è qui che il Napoli manifesta i suoi problemi più gravi, più evidenti. Succedeva l’anno scorso e succede anche con Conte.

È facilissimo difendere contro il Napoli

Il concetto chiave è che è facilissimo difendere contro il Napoli. Basta raddoppiare su Kvaratskhelia, basta coprire bene i giochi a tre sulla fascia destra e il più è fatto. Non a caso, viene da dire, le uniche occasioni pulite costruite dalla squadra di Conte sono arrivate quando si è visto qualcosa di diverso. Nella fattispecie: l’inserimento e/o il rimorchio di Anguissa e Lobotka. Come in questo caso:

Il colpo di testa e la traversa di Anguissa sono arrivate al termine di due azioni pressoché identiche a questa

Come vedete, anche questa occasione nasce dopo l’ennesimo cross. Dopo l’ennesimo tentativo di forzare il sistema difensivo del Verona attraverso le combinazioni sugli esterni. Non che sia una scelta ontologicamente sbagliata, ma il problema è che il Napoli di Conte sembra non avere alternative. I dati, in questo senso, sono eloquenti, sono inquietanti: a Verona, gli azzurri hanno costruito il 44% delle loro azioni sulla fascia destra. Praticamente una su due. E hanno messo insieme 17 cross tentati. Va bene che non c’erano Lukaku e/o Osimhen per poterli sfruttare, anzi in realtà questa sarebbe pure un’aggravante, ma il punto è che tutti erano al corrente della loro assenza. Anche Conte. E allora perché non ha lavorato su qualcos’altro? Su qualcosa di diverso?

Siamo tornati esattamente al punto di partenza: quello per cui il Napoli deve giocare per forza con determinati uomini. E quindi in un determinato modo. Per dirla brutalmente: sarebbe da stupidi chiedere a Politano, a Kvaratskhelia, a Simeone o a Lobotka, a tutti loro, di fare qualcosa di diverso. Se invece il Napoli – inteso come club – avesse davvero rivoluzionato il suo organico, se fosse riuscito a liberarsi da certi legami e da certe catene, cioè da alcuni – non per forza tutti, ma almeno alcuni – di questi giocatori, allora la transizione sarebbe stata più fattibile.

I gol del Verona

A questo punto è inevitabile chiedersi: se i problemi del Napoli sono essenzialmente offensivi, come si spiegano i tre gol incassati  Verona? Risposta semplice e al tempo stesso allarmante: nel calcio di oggi, un gioco molto più complesso e sequenziale rispetto al passato, la solidità della fase difensiva è inevitabilmente legata, cioè è direttamente proporzionale, all’efficacia di quella offensiva. Basta riguardare il primo gol del Verona per capire cosa intendiamo:

Bastano due passaggi a spaccare le linee

Il Napoli di Conte qui è disposto in modo corretto. E fa anche delle cose corrette: un discreto pressing sulla prima costruzione del Verona, che determina un buon recupero palla in zona avanzata. Ma poi mancano la qualità e i meccanismi per sfruttare un’azione potenzialmente promettente. È per questo che prima, quando abbiamo elencato i colpevoli di quanto sta accadendo, abbiamo inserito anche i calciatori, prima i calciatori: dal punto di vista puramente tattico, questo gol non può essere imputato direttamente all’allenatore. Piuttosto a un passaggio fuori misura e poi, solo dopo, a una transizione negativa lenta e farraginosa da parte dei giocatori del Napoli.

E la stessa dinamica si è vista/ripetuta anche in occasione del secondo gol – ma in quel caso gli errori individuali sono ancora più gravi, visto che Olivera perde un contrasto sanguinoso a centrocampo e Juan Jesus non legge in anticipo l’azione e non sale per il fuorigioco.

Torniamo ancora, come in un loop infinito, al punto nodale di questa analisi: Conte può arrivare fino a un certo punto. L’allenatore del Napoli avrà anche fatto degli errori, avrà anche dovuto fare a meno di Kvaratskhelia dopo un primo tempo approcciato e giocato in modo sufficiente, ma il giudizio su di lui deve rimanere sospeso. Perché il Napoli essenzialmente – cioè nella sua essenza – è ancora la stessa squadra dello scorso anno. E qui arriviamo a un altro concetto smozzicato da Conte nelle conferenze stampa del postpartita.

I problemi nella testa (e del mercato)

Anche questo non è un discorso puramente tattico, ma alla fine lo diventa: come ha detto Conte ieri, il Napoli «si scioglie come neve al sole alla prima difficoltà». Succedeva un anno fa, sta succedendo di nuovo. È successo a Verona, in modo piuttosto chiaro. Il problema dei giocatori è di personalità, di testa, ma anche di campo: se gli azzurri non riescono a (ri)trovare soluzioni offensive efficienti e convincenti, è come se si sfaldassero. È come se non potessero/sapessero/volessero fare altro che attaccare facendo possesso, e il loro mondo finisce lì. Non riescono a pensare/agire in maniera diversa, magari compattandosi nella propria area, nella propria metà campo. Non che Conte debba chiedere necessariamente questo, ma potrebbe essere una strada secondaria da percorrere nei momenti di emergenza.

E invece niente, anche per una questione di caratteristiche tecniche e fisiche: se i centri di gravità della squadra sono sempre i vari Rrahmani, Lobotka, Anguissa, Di Lorenzo, Kvara e Politano, non può esistere via di uscita. Non c’è via di scampo. Ovviamente non è così, nel senso che Conte ha le conoscenze e gli strumenti per cambiare la situazione. Ma serve anche l’appoggio della società.

E questo appoggio deve manifestarsi sul mercato. Agendo per dare una sterzata – che poi sarebbe anche una sferzata, con la “f” – al presente e quindi al futuro di questa squadra. Con David Neres, con Gilmour, con McTominay, con Lukaku o annunciando la permanenza (forzata) di Osimhen. Con dei giocatori che abbiano la qualità ma anche la personalità di imporsi sui fantasmi del passato. Sulle scorie di uno scudetto costruito nel modo giusto e vinto con pieno merito, ma che poi è stato il pretesto supremo per restare fermi. Per impantanarsi su Osimhen, su Kvara, su Di Lorenzo, sul 4-3-3 imposto a Garcia e a Mazzarri e a Calzona, sulla conferma di tutti tranne Kim.

L’arrivo di Manna, Conte e Oriali sembrava poter essere l’antidoto a questa stasi, ma l’input – in questo caso sarebbe meglio dire l’ordine – per fare la rivoluzione, per farla davvero, deve arrivare dall’alto. Non è ancora arrivato, e il Napoli ne sta pagando le conseguenze.

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