Sono pulsioni figlie della nostalgia e di un calcio fermo ai titolari. Con Lukaku, il Napoli soffrirà meno in mezzo. Lasciamo fare agli allenatori
Il cambio di modulo
Da alcuni giorni, sui media di carta e virtuali che approfondiscono tutto ciò che riguarda il Napoli, si parla di un possibile cambio di modulo da parte di Antonio Conte. Più precisamente, di un imminente passaggio al centrocampo a cinque, oppure di un suggestivo ritorno della difesa a quattro. È un fatto che ci spinge a imitare i grandi documentaristi/divulgatori scientifici, cioè a formulare una domanda semplice che però apre un mondo: ma perché Conte dovrebbe cambiare sistema di gioco? Oppure, se vogliamo postulare meglio: quale necessità e/o quale sentimento danno adito a queste voci?
Un’indagine veloce dentro le stanze segrete del Napolista ha portato alla formulazione di diverse tesi. Ve ne riportiamo alcune:
Conte potrebbe voler/dover cambiare modulo perché
- Non si fida di Mazzocchi esterno a tutta fascia
- Con un centrocampista in più, il Napoli potrebbe sfruttare meglio la profondità e la varietà dei giocatori in quel reparto, promuovendo McTominay e/o Gilmour tra i titolari
- La mediana a due Lobotka/Anguissa non fornisce adeguate garanzie in fase difensiva
- Perché il 4-3-3 e i suoi derivati, in fondo, sono e restano gli unici sistemi possibili per il Napoli
Maledetta nostalgia
Partiamo dal fondo, ovvero dall’idea (serpeggiante, percettibile) per cui il Napoli sia ostaggio e schiavo del modulo 4-3-3. Si tratta ovviamente di un’assurdità, di una reminiscenza nostalgica che non ha motivo di esistere nella realtà, come quella per cui i vecchi walkman con le audiocassette e le cuffie di spugna siano migliori dei nostri smartphone con l’archivio sterminato di Spotify e gli auricolari bluetooth. In questo senso, Conte è stato piuttosto chiaro. Ha detto testualmente che «il Napoli con il 4-3-3 ha subito 48 gol ed è arrivato al decimo posto in classifica». Prima e dopo queste parole, quasi come a voler ribadire il concetto, Conte ha lavorato su una riscrittura del suo sistema preferito, quello con la difesa a tre che diventa a cinque.
Insomma, l’allenatore del Napoli ritiene – e ha detto – che il Napoli debba cambiare pelle rispetto al passato. E, soprattutto, ha agito proprio in questo senso. Pensa che la difesa a tre, alla luce di come sono andati gli allenamenti e le partite giocate finora, sia e resti l’abito tattico giusto per la sua squadra. E non c’è spazio per il passato, per la nostalgia: gli occhi sono rivolti al presente, la testa verso il futuro.
Mazzocchi
I dubbi sulle qualità assoluta di Mazzocchi e sulla conseguente assenza di un esterno destro “titolare” – mettiamo da parte questo concetto: ci tornerà utile – sono effettivamente un tema. È chiaro, non c’è bisogno di essere osservatori professionisti: l’ex Salernitana ha un appeal e ha avuto un rendimento – almeno fino a questo momento – non paragonabile a quelli di Hakimi, giusto per sparare un nome grosso del passato di Conte.
Ma è vero pure che l’allenatore del Napoli, in attesa di una possibile integrazione nel mercato di gennaio, ha diverse opzioni nel caso volesse cambiare qualcosa in quello slot senza stravolgere il suo 3-4-3: può avanzare Di Lorenzo e schierare un altro giocatore (qualcuno ha detto Rafa Marin?) come braccetto di destra della difesa a tre, può utilizzare Spinazzola sulla fascia destra e quindi sul suo piede forte, può provare ad adattare uno dei tanti esterni offensivi presenti in rosa (qualcuno ha detto Ngonge?) nel ruolo di esterno a tutta fascia. In fondo lo fece anche con Perisic, ai tempi dell’Inter.
Lobotka e Anguissa/1
Il discorso sulla consistenza difensiva del doble pivote Anguissa-Lobotka, tra tutti quelli che abbiamo affrontato finora, è quello più interessante. Perché solleva una questione tattica reale. E lo fa in modo razionale, anche alla luce dello storico dei due giocatori in questione. Che, per dirla in modo semplice, si sono sempre espressi bene/meglio in un reparto a tre. Il passato, però, non può e non deve essere considerato una fortezza inattaccabile: se Conte crede di poter ottenere un buon rendimento da un reparto a due Lobotka-Anguissa, ha il diritto – ma anche il dovere – di provarci. A maggior ragione ora che il Napoli ha il centravanti su cui l’ex allenatore di Inter e Juventus ha fondato il suo intero progetto.
Sì, esatto: Lukaku cambierà completamente il volto del Napoli. Il lavoro che Big Rom svolgerà in attacco, avrà un impatto enorme sull’intero sistema di Conte. L’abbiamo già (intra)visto contro il Parma, in realtà: dopo l’ingresso del centravanti belga, il Napoli ha allungato il campo fino quasi a inclinarlo verso la porta di Suzuki, è diventato più pericoloso nel gioco in profondità, come se si fosse liberato dalle catene di un certo tipo di calcio.
Quando questa rivoluzione verrà metabolizzata davvero dal Napoli, gli effetti si vedranno anche nelle altre fasi di gioco. Molto semplicemente: con Lukaku in campo, la squadra di Conte non avrà bisogno di tenere i reparti stretti, quindi di difendere sempre e solo in modo aggressivo, di spostare costantemente molti uomini nella metà campo avversaria. Intendiamoci: non è detto che non lo faccia in assoluto, ma di certo non sarà più l’unica opzione. Un centravanti come il belga, infatti, permette alla sua squadra di risalire il campo velocemente, con uno o due passaggi. Di conseguenza, le transizioni negative – ovvero quegli istanti in cui una squadra di calcio passa dalla fase offensiva a quella difensiva, ovviamente dopo la perdita del pallone – saranno meno lunghe, meno faticose: una condizione potenzialmente perfetta per Lobotka e Anguissa.
Lobotka e Anguissa/2
E ora andiamo a riprendere il concetto di titolari che vi avevamo suggerito di tenere a mente. Come detto in apertura, uno dei motivi che spingerebbe Conte al cambio di modulo sarebbe la volontà/necessità di valorizzare i nuovi acquisti, Scott McTominay e Billy Gilmour. Con l’attuale 3-4-3 e tenendo conto dell’intoccabilità di Lobotka e Anguissa, i due centrocampisti scozzesi non sarebbero parte di un’ipotetica formazione-tipo. Ecco, questa è una lettura da calcio mesozoico, cioè completamente fuori dal tempo. Per due motivi principali.
Motivo numero uno: viviamo ormai stabilmente nel calcio delle cinque sostituzioni e delle partite che durano 100 minuti e anche di più, un contesto in cui un allenatore può – anzi: deve – incidere non solo con il lavoro in settimana e le scelte relative alla formazione iniziale, ma anche attraverso le letture a gara in corso, i cambi di uomini e di posizioni in campo. E allora, proprio in virtù del loro status e delle loro potenzialità, McTominay e Gilmour (e anche Folorunsho, in verità) devono essere considerati dei co-titolari. Degli elementi equipollenti a Lobotka e Anguissa.
Motivo numero due, ancora più interessante: McTominay e Gilmour (e anche Folorunsho) devono essere uno stimolo, per Anguissa e Lobotka. E lo saranno. In che senso? Semplice: da ora in poi i due centrocampisti del Napoli dovranno far fronte a una reale concorrenza interna. Se vogliono continuare a essere considerati intoccabili, inamovibili, saranno costretti a rendere. Sempre. E sempre al massimo. Perché, lo ripetiamo, il passato non può e non deve essere considerato una fortezza inattaccabile. Nel calcio, così come anche in tanti altri settori della vita, gli status privilegiati non sono eterni. Sono sempre in discussione, sono legati al rendimento offerto in campo. Il resto, anche in questo caso, è maledetta nostalgia.
Kvaratskhelia e la profondità della rosa
A pensarci bene, un discorso simile si può fare anche per Khvicha Kvaratskhelia. Ovvero il calciatore che, in qualche modo, ha costretto e costringe Conte a non riproporre il sistema che ha utilizzato di più nel corso della sua carriera. il 3-5-2 puro. Attenzione, ci mancherebbe altro, non c’è niente di strano o di sbagliato: Kvara è l’elemento più forte e più decisivo del Napoli, è giusto ed è inevitabile che Conte disegni la squadra intorno a lui e che quindi lo schieri – almeno inizialmente – in quello che è il suo ruolo preferito, ovvero esterno sinistro di un tridente d’attacco. Di conseguenza, visto che si gioca sempre in undici, le uniche strade percorribili sono quelle che portano al 3-4-3 e/o al 4-3-3.
Il punto, però, è che anche Kvara potrebbe saltare una partita per un mal di gola, potrebbe essere sostituito a gara in corso per una innocua botta al polpaccio, potrebbe persino finire in panchina in qualche occasione, semplicemente per riposarsi. A quel punto avrebbe senso cambiare modulo, inserendo un centrocampista, una seconda punta (qualcuno ha detto Raspadori?) e passando al 3-5-2 puro. Ecco, anche questa è una possibilità. Secondaria, va bene, ma è una possibilità.
In fondo, se ci fermiamo un attimo a riflettere, ci stiamo arrovellando su quella che è una grande virtù del Napoli: un’evidente profondità della rosa. Oggi come oggi in questo momento Conte ha a disposizione quattro centrocampisti di alto livello (Lobotka, Anguissa, McTominay e Gilmour), più Folorunsho, e tanti giocatori offensivi (Lukaku, Simeone, Raspadori, Kvaratskhelia, David Neres, Politano, Ngonge) da far ruotare in base alle esigenze e alle contingenze, alle sensazioni del momento. In base anche agli avversari, perché no?
Conclusioni
E allora, per dirla in soldoni, la verità è che non ha senso parlare di moduli e di formazioni-tipo. O, quantomeno, non ha senso parlarne per compartimenti stagni, come se il 3-4-3 o il 4-3-3 fossero immodificabili, come se Conte non potesse decidere di togliere Di Lorenzo, Anguissa, Lobotka o anche Lukaku e Kvara. È chiaro, ogni squadra e ogni allenatore hanno dei capisaldi, dei riferimenti. Sia a livello di uomini che a livello di preferenze tattiche. Ma oggi, oggi più che mai, il calcio vive di mutevolezze, di improvvisi e geniali cambi di direzione.
In questo senso, basta volgere lo sguardo al passato per trovare alcuni indizi significativi. Per esempio il passaggio al 4-2-4 (altro che 4-3-3!) con cui Conte, di fatto, ha deciso Napoli-Parma. Sempre guardando alla carriera allenatore salentino, possiamo ricordare – qui trovate una cronistoria più o meno esauriente – come la sua Juventus abbia vinto lo scudetto 2011/12 alternando tre moduli diversi nell’arco della stagione, oppure possiamo andare a riprendere i cambi di ruolo – la già citata trasformazione di Perisic in esterno a tutta fascia e l’adattamento di Eriksen come mezzala – che aiutarono l’Inter 2020/21 a dominare il campionato di Serie A.
Infine, ma non in ordine di importanza, vale la pena far presente come anche l’immarcescibile 4-3-3 del Napoli sia stato adottato in modo controverso e avventuroso, altro che unico modulo nel dna del club. Era l’autunno del 2015, Sarri aveva appena sostituito Benítez e aveva impostato la sua squadra con il 4-3-1-2. Dopo un avvio deludente, venne un Napoli-Bruges di Europa League. Gli azzurri scesero in campo con il tridente Callejón-Higuaín-Insigne davanti al trio Allan-Jorginho-Hamsik.
La morale di questa storia? Semplice: lasciate fare agli allenatori. Lasciateli fare, lasciateli indovinare e anche sbagliare. Sono e saranno loro a trovare la strada per valorizzare le risorse che hanno a disposizione. Solo il campo e la loro società potranno giudicarli, in un modo o nell’altro. Altro che suggerimenti esterni, altro che quella maledetta nostalgia.