Altro che il povero De Rossi. Fonseca ha disinnescato la crisi Milan vincendo il derby in contropiede morale. Senza deragliare, senza polemiche, con leggerezza
La Treccani ha aggiornato il lemma “resilienza”: ora al posto della definizione c’è una foto di Paulo Fonseca, tutto ciuffo e sornioneria. L’allenatore del Milan indeformabile è un tesina vivente di resistenza alle sollecitazioni esterne. L’intervista post-derby a Dazn vale un trenta a tecnologia dei materiali.
Fonseca era da settimane bullizzato dal sistema calcio italiano. Una società a forma di Ibrahimovic – quindi assente nella sostanza ma ingombrante nelle pressioni mediatiche – tifosi insoddisfatti cronici, giocatori dall’ego in scala 1:1. Mettici due pareggi (con Torino e Lazio) e una sconfitta col Parma, prima di morire asfissiati dal Liverpool in Champions, ed ecco spuntare alle calcagna l’ombra dell’esonero. Sarri aveva inviato il curriculum a mezzo stampa (“buon allenatore”, va dicendo del collega. Manco “ottimo”… “buono”. Sarri dorme dietro un cespuglio a Milanello ormai, ha il dito già sul citofono), mentre la stampa titolava sul Terzic incombente. E lui fa l’unica cosa che gli resta: vince il derby. In contropiede morale.
Non batte l’Inter e basta. Lo fa all’americana: when in trouble, go big. Va tatticamente all-in. Non conosce friabilità, non indietreggia. Mette Morata E Abraham. Con Pulisic taglia la corazza nerazzurra al centro, dove fa più male. Segna con Gabbia, che fa giocare al posto di Pavlovic. Insomma la vince lui. Ed eccoci alla succitata intervista a Dazn. Questa:
Da studio gli intestano la paternità di tutto il cucuzzaro e lui, adamantino, fa il vago: “Non è cambiato niente, giochiamo sempre uguale”. Ciro Ferrara gli chiede di portare in studio le paste portoghesi, pure “per Bobo”, lui capisce Boban (che a Sky lo aveva pestato nel recentissimo passato) ma chissenefrega: “Ma sì le porto pure a Boban”.
Tradendo l’ammirazione per tanta coolness, ribadiamo: mai una polemica, Fonseca; ha gestito l’ammutinamento di Theo e Leao nel cooling break con la paciosità di un pensionato al mercato della frutta; è andato avanti con le sue idee. I sassolini dalle scarpe chissà se mai se li toglierà, per ora oppone sorrisoni. E’ immarcabile, Fonseca. Magari è buddista, chi lo sa.
Tra le righe è facilmente intellegibile il parallelo con l’altro drammone di questi giorni: l’esonero-oltraggio di Daniele De Rossi a Roma. Per dissonanza di toni, maniere, gestione delle crepe. Sono due storie dirimpettaie per isteria indotta: dalla stampa, dall’ambiente, da club troppo spesso sopravvalutati per qualità manageriali smentite dai fatti. Solo che De Rossi s’è fatto travolgere per aver perso la bussola, anche tattica. Fonseca no: galleggia, quasi etereo, al massimo sbuffa un po’, per lo più sorride. Soprattutto: ha un piano, non bascula, non deraglia. Ha già vinto così.