ilNapolista

Giuntoli cambia la Juve, vincere non è più l’unica cosa che conta. Boniperti trova casa nel Napoli di Conte

Storica inversione dei ruoli. Conta il modo in cui si arriva al risultato, mentre a Napoli Conte porta avanti il processo di juventinizzazione

Giuntoli cambia la Juve, vincere non è più l’unica cosa che conta. Boniperti trova casa nel Napoli di Conte
Db Torino 10/09/2013 - qualificazione mondiale Brasile 2014 / Italia-Repubblica Ceca / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Gianpiero Boniperti

Giuntoli cambia la Juve, vincere non è l’unica cosa che conta. Boniperti trova casa nel Napoli di Conte

L’inversione dei ruoli. L’intervista di oggi di Giuntoli al Corriere della Sera certifica che alla Juventus è in corso un processo di cambiamento che potremmo definire storico. Da mesi ormai nell’ambiente Juve di Elkann si prende le distanze dalla massima bonipertiana “vincere è l’unica cosa che conta”. È tutto un florilegio di distinguo. Di veltroniani “ma anche”. Oggi Giuntoli, alla domanda “ma il motto della casa non è «vincere è l’unica cosa che conta»”? risponde così: «Certo, la Juve è una società che deve vincere. Non è la sola cosa, ma quella più importante. Noi dobbiamo mantenere l’equilibrio finanziario e una competitività elevata per riportare il club dove merita. C’è il risultato, ma anche il modo con il quale ci si arriva. Bisogna partire dalle prestazioni, sta qui la differenza».

Boniperti Giuntoli

Povero Boniperti. Speriamo per lui che nella sua nuova dimora il Corriere della Sera non arrivi né possano essere consultati le miriadi di siti che ovviamente hanno ripreso la frase. Vincere non è più l’unica cosa che conta. Bisogna mantenere l’equilibrio finanziario. E soprattutto non è importante il risultato in sé ma il modo in cui ci si arriva. Giuntoli ha citato persino Furino, chissà se  davvero porta con sé il ricordo del medianaccio che menava.

La Juve torna a trent’anni fa, a quel progetto che fallì con Gigione Maifredi. In trent’anni tante cose sono cambiate. Anche la tifoseria è cambiata. Il modo di vivere e concepire il calcio. Oggi per alcuni il come è diventato importante almeno quanto il risultato. Persino tra gli juventini.

Giuntoli sfratta Boniperti che trova casa sotto il Vesuvio

Quel che ci colpisce, a noi che seguiamo da vicino le faccende di casa Napoli, è che invece all’ombra del Vesuvio è in atto un processo uguale a contrario. Che per brevità giornalistica e per sadismo nei confronti dei tifosi vintage, definiremmo juventinizzazione del Napoli. I sintomi sono tanti. Innanzitutto l’allenatore. Quell’Antonio Conte, juventino inside, che allo Stadium ha fatto il giro del campo battendosi il pugno sul cuore e che ha spiegato chiaro e tondo ai tifosi del Napoli che la storia non si cancella e che non ha alcuna intenzione di cancellarla. Amen. Non solo, ma sin dal primo giorno napoletano Conte ha chiarito che il suo è un calcio pragmatico. Ovviamente ricco, il più ricco possibile, in cui c’è tutto ma a precisa domanda che gli venne posta nella conferenza di presentazione rispose più o meno così: «Risultatista? Giochista? Io non sono per il fumo, sono per la praticità». Frase che trovate in esergo sul Napolista.

Non si tratta di essere catenacciari. Si tratta di visione del calcio. Di voglia di essere il più imprevedibili possibile. Di saper giocare con la difesa a tre ma anche con la difesa a quattro. Di andare alla ricerca della verticalità (14 gol fatti in cinque partite, non male). Ma anche di saper arretrare e difendersi quando c’è da farlo, anche se contro il Cagliari. In una parola: lo sport, che è cosa ben diversa dallo show. Non ci sembra che per Conte il modo sia più importante del risultato in sé. Questa dichiarazione ancora non l’abbiamo sentita dalla sua bocca.

Per alcuni tifosi partenopei è un colpo al cuore. Napoli è la presunta patria della bellezza calcistica. Dimenticando che si commettendo un errore storico madornale: il Napoli viene associato al futbol bailado. Nulla di più falso visto che ai tempi di Maradona quel che definiamo estetica era l’armatura del berlusconiano Milan di Sacchi. Il Napoli era una squadra che giocava all’italiana, puntava sulla genialità dei singoli e a dirla tutta se la cavava benino. Il concetto di bellezza è fondamentalmente legato all’epoca di Sarri, fu sostanzialmente un modo per riuscire a digerire sconfitte indigeribili. La versione calcistica della volpe e l’uva. Un ottimo compromesso fu raggiunto con Spalletti: calcio spettacolare, unito a una intensità difensiva che ebbe in Kim la sua manifestazione più evidente e la storica vittoria dello scudetto.

Adesso con Conte, sempre per brevità giornalistica, il Napoli sta assumendo parte del patrimonio genetico della Juventus. Della Juventus bonipertiana, quella pre Giuntoli. Mentre l’amore per l’estetica ha preso la strada di Torino, ha fatto il suo ingresso alla Continassa. Conta il modo più che la vittoria in sé. Quanto vorremmo sentire Furino su questo concetto.

ilnapolista © riproduzione riservata