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L’Arabia ritira l’accredito al Telegraph per Joshua-Dubois. “Londra sottomessa ai sauditi”

L’incontro era a Wembley. Oliver Brown: “Una repressione in stile saudita della libertà di stampa nel cuore di Londra. Ci siamo venduti a quelli che hanno ucciso e smembrato Khashoggi”

L’Arabia ritira l’accredito al Telegraph per Joshua-Dubois. “Londra sottomessa ai sauditi”

Oliver Brown, il più conservatore degli editorialisti sportivi del molto conservatore Telegraph, s’è arrabbiato. Perché gli hanno ritirato l’accredito e non l’hanno fatto entrare all’incontro per il titolo mondiale dei pesi massimi tra Anthony Joshua e Daniel Dubois (stravinto da Dubois), a Wembley. Il match era organizzato di fatto dall’Arabia Saudita, nella persona del miliardario Turki Alalshikh, di cui Brown e il Telegraph sono fieramente “nemici”. E, insomma, se l’è presa, Brown.

“Nei 20 anni di attività di giornalista, non mi era mai stato impedito di partecipare a un evento sportivo per nessun motivo, e tanto meno per aver semplicemente espresso un’opinione che non piaceva ai padroni di casa”, scrive. “Ma sabato sera a Wembley, con lo stadio immerso in una sgargiante luce verde per riflettere la bandiera saudita e l’inno nazionale saudita che aveva avuto la precedenza su God Save the King in genuflessione agli uomini del denaro, mi sono ritrovato abbandonato all’ingresso, con la notizia che le mie credenziali erano state revocate. La trasgressione? Aver definito questo esercizio di riciclaggio di reputazione esattamente per quello che era”.

Bronw si lancia allora in una tirata sui pericoli, ampiamente previsti “dell’acquiescenza vile al repressivo regno del Golfo”. La Gran Bretagna è diventato un Paese “sussidiario dello stato saudita. E tutto finisce, come posso testimoniare, con una repressione in stile saudita della libertà di stampa nel cuore di Londra”.

Brown scrive di “sezione londinese del circo” che “sapeva di sportswashing sotto steroidi, un macabro canale per glorificare il regime saudita sul suolo britannico”.

Il bello è che Brown riposta l’articolo che li avrebbe fatti arrabbiare con tanto di messaggio della mail speditagli da un dirigente senior delle pubbliche relazioni che lavorava all’incontro: “Devo dedurre dalle tue opinioni che non desideri più partecipare, perché è chiaro che non sei d’accordo con il coinvolgimento dell’Arabia Saudita nella boxe?”.

“Per quanto fosse allettante rispondere con i termini più forti, data la chiara indicazione che l’accredito di uno scrittore britannico a un incontro britannico che coinvolgeva due pugili britannici era ora subordinato all’opinione espressa sui sauditi, ho scelto la moderazione: “Sono disposto ad avere una conversazione su tutto questo. Hai il mio numero. Sì, vorrei comunque partecipare all’evento per scrivere un resoconto dell’incontro. Cordiali saluti, Oliver”.

Dopo di che, il silenzio. “Quando sono arrivato la sera del combattimento come concordato, un addetto stampa si è preparato a consegnarmi un braccialetto arancione per consentirmi di accedere alla sala stampa al piano superiore. Ma poi sono cominciati ad apparire persone nella hall per dire che mi era stato negato l’ingresso e che non c’era nulla che potessero fare. Ho fatto diverse telefonate e inviato diversi messaggi chiedendo se qualcuno sarebbe sceso al piano inferiore in modo che la situazione potesse almeno essere discussa di persona. Tutto è rimasto senza risposta. Dopo un’ora di questa farsa, ho lasciato lo stadio”.

Brown è implacabile: “Mi sono chiesto come si fosse arrivati ​​a questo punto, dove una brutale dittatura e i suoi complici senza spina dorsale avevano avuto carta bianca, sotto la giurisdizione britannica, per soffocare una stampa libera. Tali sono le tristi conseguenze dell’appeasement. Come giornalisti, a volte ci viene chiesto perché, quando persino il governo è in debito con i sauditi per tutto, dalle armi al petrolio, dovremmo preoccuparci dell’annessione dello sport da parte del regime. Di sicuro è solo l’ordine naturale che pugili, golfisti e il Newcastle United si prostrino di fronte ai sauditi e al loro illimitato fondo sovrano? Forse. Ma forse c’è un’altra causa che vale la pena combattere. Forse, per solidarietà professionale e umanità di base, tocca a noi ricordare che un collega giornalista, Jamal Khashoggi del Washington Post, è entrato nel consolato saudita a Istanbul nell’ottobre 2018 ed è stato ucciso e smembrato con una sega per ossa da agenti che agivano – secondo le conclusioni delle agenzie di intelligence statunitensi – con l’approvazione del principe ereditario Mohammed bin Salman”.

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