Dante&Descartes pubblica la raccolta di articoli che Rea scrisse per “il napoletano” mensile calcistico ideato e curato da Mimmo Carratelli
Mimì Rea, il calcio e il napoletano che vorrei: «Un napoletano che smetta di fare la macchietta e si apra al mondo»
“Vogliamo un napoletano nuovo, senza miti, oltre quelli della sua naturale effervescenza, della sua capacità di pensare, di filosofare e di agire come di ribellarsi quando è necessario. Un napoletano che si apra al mondo e non si chiuda nella sua città-stato. Un napoletano che smetta di fare la macchietta; di giocarsi a zecchinetta le sue doti, la sua prensilità, come la smette quando va a Milano, a New York, a San Paolo o a Johannesburg”.
Questo fu l’incipit-desiderata del primo editoriale che Mimì Rea dedicò a “il napoletano” il mensile calcistico strutturato da Mimmo Carratelli su incarico della Sscn del presidente Corrado Ferlaino e che Rea diresse per un anno su invito proprio di Carratelli. Ora il libraio-editore Don Raimondo Di Maio manda in libreria la raccolta di articoli che l’autore della “Ninfa plebea” scisse su questo innovativo organo di stampa – (“il napoletano (Dante&Descartes)” a cura dell’italianista Annalisa Carbone).
«Così l’8 settembre – ci dice Di Maio -, con questo libro celebreremo l’anniversario del centotreesimo anno dalla nascita di Domenico Rea, vedrà la luce questa raccolta di articoli, attentamente messi insieme, introdotti e annotati da Annalisa Carbone, appassionata reana di vecchia data. Il giornale “il napoletano”, mensile sportivo di calcio, che Rea diresse per un anno – dopo collaborò da consulente letterario, fu un’esperienza importante perché Rea impose una torsione civile e culturale che indicava un orizzonte possibile fuori dalla ‘napoletaneria’, non più il ‘verismo’, ma il ‘realismo’ per leggere Napoli com’è e come potrebbe essere”.
Mimì Rea diresse il mensile per un anno
La figlia Lucia Rea ricorda nel testo “Memorie” che in famiglia Mimì fu anche preso in giro per l’entusiasmo che ci mise ma “che si trattasse di un reportage di viaggio, di un articolo di costume, di un bozzetto o di un editoriale, la dedizione che metteva nel suo lavoro era la stessa”.
Durante i mesi in cui diresse “il napoletano”, Rea invitò a collaborare intellettuali importanti come Dominique Fernandez, il maestro Roberto De Simone, Giorgio Bocca, Pier Paolo Pasolini e molti altri nomi della cultura nazionale e napoletana, e il nucleo della discussione era sempre lo stesso: la questione Napoli.
“In cazzetto d’angelo” – alla viglia di un Bologna-Napoli il tifoso Rea immagina di telefonare a Vinicio per non far partire la squadra per la città felsinea. Motivo? La presenza di un arbitro dal nome infausto che gli ricordava un suo compagno di scuola con una protuberanza a ‘cazzetto d’angelo’ ; “l’arbitro, signori, è tutto. È un re assoluto e con i re assoluti, i poveri, i coraggiosi e i … napoletani ci sono andati sempre male”.
Negli altri suoi interventi Rea spaziò da recensioni di romanzi storici settecenteschi a libri di fervore popolare ma non dimenticò di evidenziare la mancanza di progettazione sia urbanistica che di programmazione turistica che subiva la Città per mano di politici inconcludenti. Don Mimì era un’illuminista che si muoveva tra le ombre caravaggesche di Napoli osservando solo quella realtà infausta che voleva cambiare partendo da un napoletano nuovo.