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A Napoli sta crollando il falso mito di Conte allenatore talebano

Descritto come impermeabile al cambiamento, sta facendo l’esatto contrario: dalla difesa a quattro al quadrato magico visto ieri contro il Palermo

A Napoli sta crollando il falso mito di Conte allenatore talebano
Tottenham Hotspur's Italian head coach Antonio Conte speaks during a press conference on February 13, 2023 at the San Siro stadium in Milan, on the eve of the UEFA Champions League round of 16 football match between AC Milan and Tottenham Hotspur. (Photo by Marco BERTORELLO / AFP)

Una partita tattica

Non lasciatevi ingannare dal risultato, da come sono andate le cose, dal fatto che il Palermo sia una squadra di Serie B. E neanche dal turn over. Quella giocata ieri sera dal Napoli è stata una partita vera. Anche dal punto di vista tattico, nel senso che ha dato delle indicazioni molto interessanti sul lavoro fatto da Conte. E su quello che vedremo nelle prossime settimane. Sul prato dello stadio Maradona, infatti, si sono manifestati dei meccanismi e dei movimenti del tutto nuovi, per la squadra azzurra. E non solo rispetto alla stagione scorsa, ma anche a quello che abbiamo apprezzato nelle ultime settimane.

Insomma, Napoli-Palermo 5-0 è stata una partita che, proiettandoci per in avanti per qualche attimo, potrebbe essere ricordata come un momento importante. Forse è eccessivo dire di svolta, ma di certo abbiamo assistito a un qualcosa che non avevamo mai visto. E non ci riferiamo solo alla disposizione dei calciatori in campo, ma anche ai principi di gioco scelti da Conte. Principi che, in qualche modo, potrebbero aprire nuovi spazi e nuove prospettive per diversi giocatori in rosa. E che, di conseguenza, potrebbero permettere a Conte di valorizzare ancora di più, ancora più profondamente, l’organico che ha a disposizione.

Un Napoli brasiliano (e non solo per David Neres)

Iniziamo dalla formazione titolare: Conte ha scelto di schierare quattro difensori (Mazzocchi, Rafa Marín, Juan Jesus e Spinazzola), due centrocampisti centrali (Lobotka e Gilmour), due esterni offensivi (David Neres e Ngonge) e due attaccanti (Simeone e Raspadori). Rileggendo questi nomi e ragionandoci un attimo su, si potrebbe dedurre che il Napoli si sia disposto in campo con un modulo 4-4-2 e/o con il 4-2-3-1, con Raspadori a fare da ponte-cuneo tra i due sistemi. Ecco, questa lettura è vera solo in parte. Perché in effetti il Napoli ha difeso con il 4-4-2, ma ha costruito il gioco con uno schieramento molto diverso. E anche molto creativo.

Prima di andare avanti, permetteteci una piccola digressione storico-teorica: in Brasile, soprattutto tra il 1950 e il 1970 ma anche in altri momenti dei decenni successivi, gli allenatori della Nazionale e dei club più importanti disponevano di tantissimi giocatori dalla vocazione spiccatamente offensiva. Solo che questi atleti, come dire, erano giocolieri che volevano toccare la palla, che volevano stare nel vivo del gioco. Insomma, non erano delle vere e proprie ali. E così i tecnici disponevano le loro squadre con una variazione del classico 4-2-4, vale a dire un 4-2-2-2 in cui davanti al doble pivote si determinava una specie di quadrato, con due trequartisti alle spalle di due attaccanti. Era il cosiddetto quadrado mágico, e qui trovate una ricostruzione ancora più approfondita della sua storia.

Ecco, ora possiamo dirlo: contro il Palermo, il Napoli di Conte ha costruito il suo gioco con una sua versione, ovviamente attualizzata e adattata. del 4-2-2-2. Del quadrato magico.

In alto, vediamo solo una porzione del quadrato magico, ovvero David Neres e Ngonge in posizione di mezzali. Sopra, invece, ci sono sempre David Neres e Ngonge, per altro sulla stessa linea di Mazzocchi e Spinazzola, pochi metri dietro Simeone e Raspadori. Abbiamo anche disegnato il quadrato magico.

Quello visto contro il Palermo è un ulteriore passaggio di stato fatto da Conte e dal Napoli. Dopo le prime partite col 3-4-3/3-4-2-1 e il successivo ripristino della difesa a quattro, ora c’è un altro grande ritorno: quello del sistema con cui Conte ha affrontato tutta la prima parte della carriera, vale a dire il 4-2-4. Con la difesa a quattro, due esterni offensivi e due attaccanti di ruolo.

Solo che, come anticipato in precedenza, anche i principi di gioco sono completamente nuovi: i due esterni offensivi che stringono moltissimo verso il centro sono diventati lo sfogo per la prima costruzione. In questo modo, la ricerca della verticalità non passa – o quantomeno non passa subito – dal lancio lungo in avanti e quindi dalle punte, piuttosto da imbucate che cercano i laterali offensive tra le linee. E li trovano, eccome se li trovano. Basta guardare come nasce l’azione del primo gol di Ngonge:

Il momento chiave, naturalmente, è il tocco di Lobotka per Ngonge

Questa disposizione e questi meccanismi aprono degli scenari nuovi, per il Napoli. E non solo per il Napoli del 4-2-4, ma anche per quello del 4-3-3. Quello dei titolari, per usare una definizione che in realtà deve essere considerata anacronistica. È semplice capire perché: l’idea di costruire con il doble pivote e di passare poi per degli esterni che convergono al centro potrebbe dare degli impulsi diversi al gioco di Politano e – soprattutto – di Kvaratskhelia. Per Conte, lo sappiamo, il georgiano deve allontanarsi dalla comfort zone sulla sinistra, deve venire di più in mezzo al campo, deve prendersi maggiori responsabilità creative. Un’impostazione di questo tipo, che prevede la ricerca di corridoi interni, potrebbe agevolare e accentuare questa trasformazione.

In alto, la heatmap della partita di David Neres. Sopra, invece, c’è quella di Ngonge. Entrambi, si nota chiaramente, sono entrati spesso dentro il campo per farsi dare il pallone tra le linee, piuttosto che rimanere isolati sugli esterni.

Inoltre, come detto in precedenza, anche altri giocatori potrebbero giovarsi di un Napoli in grado di padroneggiare anche questo schieramento. Basti pensare a Raspadori, che contro il Palermo ha offerto una prestazione magari non brillantissima, ma di certo non evanescente come quelle contro Verona e Parma: nel 4-2-4, l’ex attaccante del Sassuolo sarebbe schierato nella posizione che gli si addice di più, quella di seconda punta con licenza di svariare su tutto il fronte offensivo. Lo stesso discorso vale anche per Simeone – che in realtà aveva già giocato uno spezzone accanto a Lukaku, nel finale di Napoli-Parma – e soprattutto per Ngonge. Che, doppietta a parte, si è mosso benissimo da esterno sinistro. E che ha le caratteristiche per giocare anche da sottopunta, subito alle spalle di Lukaku, in un ipotetico 4-2-3-1.

Billy Gilmour e un’ulteriore deformazione

Un altro aspetto molto interessante di Napoli-Palermo, soprattutto in prospettiva futura, riguarda l’integrazione e l’interazione tra Stanislav Lobotka e Billy Gilmour. Due giocatori dal profilo antropometrico simile e che idealmente potrebbero pestarsi un po’ i piedi, ma che in realtà sono riusciti a convivere. Anche perché Conte, nel disegnare il suo nuovo 4-2-4 (anche se, come abbiamo visto, sarebbe molto più corretto parlare di 4-2-2-2), ha sfruttato proprio la presenza di due centrocampisti simili per creare un’ulteriore deformazione. Ovvero la salida lavolpiana di uno tra Lobotka e Gilmour in mezzo ai centrali difensivi, mentre l’altro componente del doble pivote restava leggermente più avanzato.

Agli appassionati di tattica non può essere sfuggito: questa conformazione ricorda esattamente quella dell’Inter di Conte, che costruiva con i tre centrali difensivi più il vertice basso del centrocampo a tre, vale a dire Brozovic. Il 4-2-2-2 del Napoli, in alcuni momenti non ciclici ma non sporadici, ed è questa la cosa più significativa, si è quindi trasformato in una sorta di 3-1-4-2. Si vede chiaramente in questi frame:

Nell’immagine in alto, Gilmour è in mezzo ai centrali. In quella sopra, invece, la Salida Lavolpiana la fa Stanislav Lobotka.

È chiaro che questo tipo di meccanismo può diventare più efficace nel momento in cui vanno in campo due centrocampisti come Lobotka e Gilmour. È una questione di caratteristiche, di qualità: con Anguissa, il doble pivote è inevitabilmente più fisico e quindi più solido, ma perde anche qualità pura nello smistamento della palla. E allora torniamo ancora al discorso precedente, quello relativo all’ampliamento delle opzioni: lavorando anche sul 4-2-2-2, Conte ha creato/creerebbe anche lo spiraglio per dare maggiore minutaggio a Gilmour. Senza rinunciare alle geometrie e alla leadership di Lobotka, ma togliendogli delle responsabilità: a fine partita, infatti, il centrocampista del Napoli con più passaggi tentati è stato Gilmour, con 73. Non Lobotka, che si è “fermato” a 56.

Le parole di Conte, il camaleontismo, la difesa

Dopo la partita, in conferenza stampa, Antonio Conte ha detto che «ho fatto determinate scelte, anche rischiose, perché adesso posso fare interpretazioni tattiche. E per avere risposte da tutti, anche dai nuovi. Abbiamo cambiato interpreti, ma non lo spartito che seguiamo». Ecco, questa è la chiave per comprendere come e dove sta lavorando l’allenatore del Napoli: il camaleontismo tattico delle ultime settimane nasce dalla sicurezza per cui la squadra azzurra, oggi, ha un’identità innanzitutto difensiva. Un’identità che, come spiegato dallo stesso Conte, non cambia al variare degli uomini e degli schieramenti. Ma di cosa parliamo, esattamente? Vale a dire: come difende il Napoli? Come siamo passati dagli orrori dello scorso anno a una squadra che ha subito soltanto un gol, per altro su rigore, nelle ultime cinque partite disputate?

Risposta: anche da questo punto di vista, Conte sta lavorando in modo multiforme. Nel senso che il suo Napoli è una squadra che alterna benissimo l’aggressività estrema a un attento sistema di contenimento posizionale. Contro il Palermo, per esempio, non abbiamo visto un Napoli schierato a specchio – in modo da facilitare gli accoppiamenti uomo su uomo – come quello sceso in campo a Torino contro la Juve, piuttosto un Napoli capace di accorciare rapidamente il campo orientandosi sul pallone. Per capire cosa intendiamo, basta guardare questo frame:

Sì, esatto: ci sono tutti i dieci giocatori di movimento del Napoli in uno spicchio di campo

È vero che quella contro il Palermo, come dire, non è stata una sfida particolarmente probante dal punto di vista difensivo. Basti pensare che, dati alla mano, la squadra di Dionisi non è andata oltre il 35% di possesso palla. A pensarci bene, però, il punto è proprio questo: sei giorni fa, all’Allianz Stadium di Torino, il Napoli ha impostato e giocato una partita completamente diversa, eppure è riuscito a limitare – diciamo pure ad azzerare – le azioni pericolose della Juventus di Thiago Motta, ovvero una squadra che ama governare le partite tenendo la sfera, costruire il gioco dal basso, muovere gli avversari per creare spazi da attaccare. Contro il Palermo, Conte ha preparato un piano gara esattamente opposto. E ha rischiato soltanto in occasione di un lancio lungo di Sirigu, con Juan Jesus che si è fatto superare nel duello aereo:

Come dire: non proprio un’occasione subita a difesa schierata

Conclusioni

Quando Conte venne ufficializzato come nuovo allenatore del Napoli, in tanti agitarono il fantasma del suo approccio tattico ai limiti del fondamentalismo talebano. Questa pregiudiziale gli contestava la venerazione per la difesa a tre, l’incapacità di cambiare sistema di gioco, un presunto difensivismo di fondo. Sono passati ormai quattro mesi da quei giorni, e le cose del campo sono andate in maniera completamente diversa. Anche chi scrive è rimasto sorpreso da questa strambata a 180°, anche se in realtà la carriera di Conte dice che gli esperimenti e i successivi cambiamenti sono alla base del suo credo. Semplicemente, nelle ultime stagioni sono stati meno numerosi e meno impattanti rispetto a qualche anno fa.

A Napoli, però, Conte sembra aver ritrovato la sua vecchia verve da trasformista tattico. Forse perché, a pensarci bene, diversi giocatori della sua rosa possono essere incastrati, e quindi valorizzati, solo in un certo modo. Ma c’è anche un altro aspetto di cui tener conto, al di là di questa riflessione filo-aziendalista: il Napoli è una squadra dall’organico ampio e quindi dall’identità mutevole, di conseguenza ha bisogno di un allenatore in grado di lavorare in questo senso. Senza imporre dei dogmi, o comunque solo alcuni. Quelli giusti.

Nel caso specifico, Conte ha lavorato prima di tutto sulla ricostruzione fisica dei giocatori. Partendo da lì ha messo su una squadra compatta, accorta, in grado di rimanere equilibrata anche quando è chiamata ad attaccare. Ed è grazie a questa solidità che ha potuto iniziare a costruire l’assetto offensivo della sua squadra. Anzi, si è messo a lavorare su molti assetti possibili. E anche intercambiabili. Senza le coppe europee, con giocatori riposati e che possono essere allenati su schemi pensati di partita in partita, esiste il margine perché si veda un Napoli sempre diverso. Un Napoli da cui nessuno sa cosa aspettarsi. E da cui, di conseguenza, è difficile difendersi.

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