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Pincolini, il primo preparatore atletico: «Galliani mi fece un contratto da lavoratore dello spettacolo»

A Sportweek racconta di Sacchi, del Milan, di Di Canio: «Dovevo verificare come stava per prenderlo dal Napoli. Un tifoso milanista ci scoprì e chiamò la Gazzetta»

Pincolini, il primo preparatore atletico: «Galliani mi fece un contratto da lavoratore dello spettacolo»
Gc Parigi (Francia) 18/09/2012 - Champions League / Paris Saint Germain-Dinamo Kiev / foto Giuseppe Celeste/Image Sport nella foto: Vincenzo Pincolini

Sportweek ha intervistato quello che, forse, è il primo preparatore atletico prestato al calcio. Si tratta di Vincenzo Pincolini, 70 anni. È un pezzo prezioso della storia del calcio italiano. Ha lavorato con il Parma e soprattutto con il Milan, anche quello di Sacchi. Di seguito alcuni dei suoi aneddoti più interessanti.

Pincolini: «A Salso mi scoprirono con Di Canio»

Primo preparatore, è corretto?
«Di sicuro sono stato il primo ad andare in pensione come tale, visto che la Figc ci ha riconosciuti solo nel ’90. Negli Anni 80, al Milan, Adriano Galliani, cui devo sempre dire grazie (anche se poi sono andato via dal Milan per causa sua), mi aveva fatto un contratto da lavoratore dello spettacolo».

Pincolini inizia nel Fidenza, in Serie D 1978. Nell’85 a Parma incontra Sacchi:
«Vincemmo il campionato di C1, ma non andavamo molto d’accordo. Voleva portare da Rimini il suo staff, però Riccardo Sogliano, il d.s., altra persona cui devo molto, rispose no. Arrigo mi disse subito: “Sei qui perché mi sei stato imposto”. Fino al giorno dopo la promozione andò così».

Poi?
«Diedi le dimissioni. A quel punto Sogliano s’infuriò con Sacchi. Insegnavo alle Medie, a Fontevivo, Arrigo continuò a telefonarmi a scuola, tanto che dalla segreteria mi dissero: “Eh ma rispondigli, però…”. All’epoca andavo ogni giorno da Fontevivo al vicino Stuard, dove al pomeriggio ci allenavamo col Parma, e i vigili sapevano che non dovevano fermarmi. Uno non rispettò le “consegne” e seppi dopo dal suo superiore, tifoso del Parma, che lo avevano “ripreso”: “Lascia stare Pincolini, sta lavorando…”».

Le dimissioni rientrarono…
«Con Arrigo ci trovammo a Milano Marittima. Trovammo la quadra, la stagione successiva lavorammo in modo ideale, in campo e fuori. Spesso a fine allenamento Bruno Mora (ex di Milan e Nazionale, all’epoca allenatore nelle giovanili; ndr) portava una Malvasia e si facevano “chiacchierate costruttive”».

Anche Berlusconi ammirava il lavoro di Pincolini:
«Regali? Diversi, ma preferisco citare un altro tipo di riconoscimento. Alla vigilia di Napoli-Milan dell’88 che valse lo scudetto, davanti a tutti disse: “Tanto noi siamo sicurissimi che siamo preparati al massimo e che non ce n’è per nessuno”. Ripeteva sempre che lavoravamo come gli altri non facevano. A casa ho il manuale dei Marines firmato da lui con una dedica del tipo: “Un libro che tanto tu conosci già”».

Allora le parole psicologia e lavoro mentale non era nemmeno nel vocabolario del calcio:
«Zero. Non ci pensavamo. Gli facevamo fare tanta fatica, questo sì. Io dal ’78 al ’90 mi sono basato sulla quantità di lavoro, ma siccome mediamente si lavorava poco già farlo un po’ di più come capitava a noi del Milan ti dava grandi vantaggi».

Nel 1994, Sacchi la chiama al Mondiale in Usa.
«Negli Usa abbiamo anche provato ad allenarci alle 7.30 del mattino, ma capimmo che serviva a poco perché i gradi erano meno ma l’umidità era uguale».

Un campione che non ha mai allenato e invece avrebbe voluto tanto farlo?
«Volevo allenare Gianluca Vialli. Ma ci sono riuscito, adesso si può dire. Aveva saputo di Frank Rijkaard, che a Salso avevo curato per un’infiammazione al tendine rotuleo. Palestra, terme, fanghi, nuoto… Mi chiama Giorgio Parri, lo chef delle Querce, a Salso, e della Sampdoria. “Puoi dare un’occhiata a Vialli?”. “Volentieri, ma se mi scoprono sono finito…”. Così mi organizzai: mattino a Milanello, pomeriggio a Salso. L’infiammazione passò e da quel momento con Gianluca abbiamo avuto una complicità particolare».

Un’altra volta a Salso la tradì una spia…
«Primavera 1994. Ci porto Paolo Di Canio per verificare che stia bene per prenderlo dal Napoli. Un tifoso milanista ci fa una foto e poi chiama la Gazzetta. “Di Canio va al Milan”. “Come lo sa?”. “Ho una foto…”. “Ce la porti…”.E lui così fece. Il giorno dopo, alle 8, chiama Galliani: “Professore, certo che lo ha nascosto proprio bene…”».

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