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Vavassori: «Vengo da una famiglia normale. Si può arrivare nell’Olimpo del tennis anche con un budget ridotto»

A Repubblica: «Non ho mai avuto soldi da investire. Il rapporto padre-coach non è semplice, a volte ci sono delle sfuriate ma mezz’ora dopo è finita»

Vavassori: «Vengo da una famiglia normale. Si può arrivare nell’Olimpo del tennis anche con un budget ridotto»
New York (Usa) 05/09/2024 - Us Open / foto Imago/Image Sport nella foto: Sara Errani-Andrea Vavassori ONLY ITALY

Andrea Vavassori, campione di doppio misto allo Us Open con l’eterna Sara Errani, si è raccontato in un’intervista a Repubblica.

La prima domanda è d’obbligo: com’è la sensazione?
«Oh, bellissimo. Poi con Sara, un vero esempio. Per atteggiamento, positività. Posso solo prendere cose da lei: è nato tutto con le Olimpiadi, speriamo di continuare ancora».

Beh, oggi può dire tutto. Soprattutto per chi, come lei, ha sofferto l’assenza di visibilità.
«Penso che alla fine tutto torna: se uno lavora bene, crede nel lavoro, nel processo, alla fine si toglie le giuste soddisfazioni. Le
soddisfazioni stanno arrivando, piano piano mi sto togliendo tanti sassolini».

Quindi oggi può raccontare la sua storia.
«Da bimbo guardavo i grandi tornei, gli Slam e sognavo di vincere Wimbledon. Poi sono cresciuto: mi piaceva tantissimo il doppio, avere un compagno mi dà energia. Sarà che mi sono sempre piaciuti gli sport di squadra anche se non li ho mai praticati».

«La mia è una famiglia normale, non ho mai avuto soldi da investire. Io sono sempre stato una persona cresciuta piano piano, non ho avuto balzi incredibili. Sono un ragazzo umile, tutto è nato nel campo di famiglia. Poi c’è stato il Circolo Monviso, e il Pinerolo».

Vavassori sul rapporto con il padre-coach

La famiglia.
«Se sono qui è grazie a mio padre, a mia madre e alla famiglia. Papà Davide mi è sempre stato accanto. Poi il rapporto padre-coach non è sempre semplice, ma noi abbiamo un rapporto incredibile, anche se ci sono le sfuriate qualche volta. La cosa nostra bella è che mezz’ora dopo è finita. È un rapporto forte, nessuno dei due se la prende quando l’altro sbaglia. Io so benissimo che a volte con lui sono magari troppo severo, e allo stesso modo lui: ci veniamo incontro. Alla fine vuole solo il mio bene, mi ha dato una mano enorme…».

Un successo fatto in casa.
«La cosa bella che posso anche tramandare alle generazioni che stanno arrivando è che anche con un budget ridotto, con delle
possibilità non enormi, si può arrivare nell’Olimpo del tennis, perché alla fine stiamo parlando di questo. Fino a uno Slam. I ragazzini che crescono possono prendere la mia storia, sapere che si può fare».

Il doppio, la chiave di tutto.
«Da piccolo mi mettevo sotto rete e sfidavo gli amici a colpirmi: non ci riuscivano quasi mai. Ho sempre creduto nel doppio, ha un uso didattico e penso sia poco valorizzato ad alti livelli. Eppure abbiamo singolaristi che si sono migliorati giocandolo, o che hanno trovato nel doppio una seconda carriera, una seconda vita».

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