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Yamal: «Da piccolo mi allenavo con i miei cani, dribblare un cane è la cosa più difficile da fare»

A L’Equipe: «Portavo sempre il pallone con me, anche a scuola. Quando sono arrivato al Barcellona, ero un dribblomane. Poi ho imparato».

Yamal: «Da piccolo mi allenavo con i miei cani, dribblare un cane è la cosa più difficile da fare»
Monaco di Baviera Germania) 09/07/2024 - Euro 2024 / Spagna-Francia / foto Image Sport nella foto: Lamine Yamal

Lamine Yamal, a soli 17 anni, è già un pilastro del Barcellona e della Nazionale spagnola, con cui quest’anno ha vinto l’Europeo. La sua intervista a L’Equipe.

Yamal: «Da piccolo mi allenavo con i miei cani. Sogno la Champions e il Mondiale»

Ci hanno detto che da bambino non lasciavi mai il tuo pallone. E che se qualcuno te lo toglieva perché era ora di mangiare o dormire, iniziavi a piangere…

«E’ vero! Ricordo che quando andavo a scuola, lo portavo in una borsa. Poco prima di entrare in classe, lo nascondevo nello zaino, perché l’insegnante non voleva che lo mettessi sul banco. A casa, mi piaceva giocare a calcio con i miei cani. Mio padre ha detto che non avevo nulla di cui preoccuparmi, che non mi avrebbero morso, quindi mi divertivo con loro. Dribblare un cane è la cosa più difficile da fare. Era come un allenamento per me».

Qual è il tuo primo ricordo legato al calcio?

«Il mio primo allenamento con La Torreta a 3 anni. Non sapevo davvero cosa fare: tutti hanno iniziato a fare esercizi per riscaldarsi… Non l’avevo mai fatto prima, volevo tornare a casa. Mio padre mi ha detto di non farmi prendere dal panico, che tutto sarebbe andato bene e che mi sarei divertito quando l’allenamento iniziava davvero. E, dal secondo allenamento, sono stato messo nella categoria di età superiore. La Torreta mi ha insegnato il gioco di squadra, a muovermi in campo e interagire con i miei compagni».

Quali giocatori ti hanno fatto sognare?

«Neymar, era ancora al Santos e mi piaceva guardare i suoi video. Andavo a casa di un amico che aveva un computer e passavamo interi pomeriggi a guardare video su internet, poi tornavo a casa e provavo a ripetere la stessa cosa nella mia stanza prima di andare a dormire. Ho amato anche Lionel Messi, ovviamente! Per non parlare di (David) Villa, Pedro e tutta la squadra del Barça».

È in onore di Messi che hai scelto il numero 19, che lo ha indossato al suo debutto da professionista dal 2005 al 2008?

Yamal: «Quando sono stato convocato in nazionale, ho preso il 19 perché era uno dei pochi rimasti, dato che ero nuovo. È stato con questo numero che ho vinto il primo titolo importante della mia carriera (l’Europeo). Poi ho visto che la gente cominciava a dire che questo era il numero che Leo indossava da giovane e mi sono affezionato sempre di più al 19. Ma cerco di non pensare troppo ai paragoni, di essere sempre me stesso. Come dico ai miei amici, per me la cosa più importante è lasciare il segno nel calcio, fare una grande carriera». 

Ti ricordi il giorno in cui il Barça è venuto a cercarti?

«Stavo tornando a casa da scuola, uno dei miei amici corse verso di me gridando: “Stai per andare al Barça!” Non ci credevo, ma ho comunque chiesto a mia madre se fosse vero quando sono arrivato a casa. Mi ha confessato che non voleva dirmelo perché non era ancora ufficiale. E’ stato uno shock! Da piccolo ero un giocatore un po’ “caotico”: prendevo la palla e sfidavo il mio diretto avversario dribblando. Alla Masia, ho imparato ad essere calmo e a sapere quando giocare velocemente, quando lentamente, a giocare da squadra, tutto ciò che rende particolare il gioco del Barça».

Cosa ricordi dei primi giorni nella squadra maggiore?

Yamal: «Due giorni prima della partita di Champions League contro il Viktoria Plzen, Xavi ha convocato per allenare i giocatori che avevano trovato poco spazio in campionato e mi è stato chiesto di partecipare. Ero un po’ timido, ma Ansu Fati mi ha accompagnato dagli altri. C’erano Jordi Alba, Gerard Piqué… Ero emozionato, perché questi sono giocatori che vedevo in tv e, all’improvviso, mi sono trovato a giocare con loro». 

Con Nico Williams avete fatto una gran coppia all’Europeo. Come gestisci la pressione?

«Si tratta di divertirsi giocando a calcio. Siamo due amici che giocano insieme. La nostra complicità è evidente quando uno di noi segna e balliamo, perché è il nostro modo di vedere il calcio, di divertirci. Ci aiuta anche ad essere più rilassati. All’Europeo eravamo fiduciosi, sapevamo cosa fare per arrivare in finale. Abbiamo poi dimostrato di essere la squadra migliore. Quando si gioca con Dani Carvajal, Rodri, Dani Olmo, Pedri… sai che sei in grado di giocare ad alto livello». 

C’era una sorta di “Yamal-mania” quest’estate…

«Non me ne sono reso conto durante la competizione, perché eravamo un po’ tagliati fuori dal mondo esterno. Me ne sono accorto in aeroporto. La gente era pazza di noi! Ora mi conoscono meglio. Prima mi chiedevano ogni tanto una foto, ma uscivo di casa senza problemi. Ora è impossibile. Quando sono in macchina, la gente mi riconosce attraverso il vetro. Ma ammetto che preferisco questo rispetto a non vincere l’Europeo».

Cosa sogni di più: la Champions League, il Mondiale o il Pallone d’Oro?

«Direi il Mondiale e la Champions, ma non posso scegliere… e poi il Pallone d’Oro, ma dopo. Ora sto pensando soprattutto ad iniziare bene la stagione con il Barça. Non penso che sia il mio anno per il Pallone d’Oro, non ho fretta. In questa stagione cercherò di fare del mio meglio».

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