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“Basta Piedigrotta: vogliamo l’Europa” ristampa di Domenico Rea

Raimondo Di Maio alla Buchmesse parlerà di Mimì Rea di questo scritto del 1972 che fu pubblicato su “Epoca”.

“Basta Piedigrotta: vogliamo l’Europa” ristampa di Domenico Rea

“Basta Piedigrotta: vogliamo l’Europa” ristampa di Domenico Rea

Inizia oggi la Buchmesse 2024 dedicata all’Italia e Don Raimondo Di Maio – librario ed editore in Napoli – sarà ospite alla rassegna dei libri tedesca parlando della figura di Don Mimì Rea. Per l’occasione come nella migliore tradizione editoriale partenopea Di Maio dà alle stampe nella sua collana principe delle Storie in Trentaduesimo “Basta Piedigrotta: vogliamo l’Europa (pagg. 45; edizioni Dante&Descartes)” per gentile concessione di Lucia Rea custode filologica della tradizione letteraria paterna.

Scritto nel 1972 – uscì su “Epoca”, vent’anni dopo il fondamentale “Le due Napoli” – questo saggio-racconto mette in luce la falsa vulgata di Napoli. Per Rea c’era un popolo dei bassi che chiedeva con le nuove leve l’emancipazione dal ruolo di ‘plebe’, “si tratta di costanti la cui colpa è da attribuire unicamente alle classi politiche che si sono succedute al governo della cosa pubblica, sfuggendo il problema a monte di tutta la questione napoletana, un articolato sistema di rieducazione. Parlare di plebe, oggi, è un anacronismo. Per qualsiasi nazione civile avrebbe il peso e l’infamia di un marchio. Ma a Napoli la plebe esiste. È un fatto attuale e corrente”.

Rea non si pone come il buon borghese

Una classe politica che con il Rione Amicizia, il Traiano e le nuove edificazioni a Secondigliano riproponeva in altra sede la separazione di classe. A contrario la plebe emigra e non voleva più la falsa Piedigrotta, ma essere agganciata economicamente e socialmente al Treno europeo. Rea ci va giù forte condannando la predicazione apocalittica, “Napoli la Sodoma e Gomorra del fallimento neocapitalitico italiano (un atto di accusa ai narratori pre-Saviano?)”. Con questa analisi sociologica-narrativa Rea si pone come l’interprete della plebe e delle sue tendenze materialistiche e storiche, – non come il buon borghese – ma calandosi in quella che era stata anche la sua classe d’origine che non ha rinnegato.

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