È in una scena di Parthenope. Il muezzin napoletano che imperversava su Canale 21. Sudista, borbonico, anarchico, onesto nel suo estremismo
“Capre, siete un popolo di capre”. Chiedi chi era Angelo Manna il tormentone rilanciato da Sorrentino
Nelle sere dell’estate 1976, nella Napoli del sindaco Valenzi, fra le continue rivolte nel carcere di Poggioreale e una moria di pesci al Lago Patria, mentre la sonda Viking planava su Marte, la città fu scossa dal più popolare muezzin d‘ogni protesta, rivendicazione, accusa e maledizione dell’intera storia napoletana.
In una villa sul mare di Posillipo, di proprietà di Achille Lauro, l’ingegnere Pietrangelo Gregorio, un genio nel suo campo, aveva piazzato la prima emittente televisiva privata, Canale 21, sorta un attimo prima che Berlusconi deflagrasse nei tubi catodici (corri a casa in tutta fretta, c’è il Biscione che t’aspetta). Dalla villa televisiva posillipina, ogni sera, s’alzava la voce possente e rivendicativa del muezzin partenopeo. La voce, sostenuta e diffusa dalle frequenze televisive, rimbalzava sulla collina di Posillipo, slittava verso il Vomero, precipitava a Chiaia, s’allungava al Vasto, curvava verso Foria, dilagava alla Sanità e a Forcella, invadeva Toledo e i Quartieri spagnoli, esplodeva a Mergellina. Teleschermi aperti in tutte le case.
Pecore, siete un popolo di pecore. Era la voce di Angelo Manna, appassionato giornalista di grande esperienza, che inventò la più popolare e vivace trasmissione televisiva, il Tormentone, contro ogni sopruso, ingiustizia, potere e strapotere, una voce di notevole spessore, per quanto era di notevole spessore Angelo Manna, robusto e perentorio.
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Angelo, che lavorava a Il Mattino, redattore presente su tutte le cronache della vita italiana, era un uomo che, per statura, pare mettesse soggezione persino a Giovanni Ansaldo, il colosso genovese venuto a dirigere il quotidiano napoletano. Il Tormentone fu l’invenzione più felice di Angelo Manna, scrittore e poeta. Catturò, svegliò, percosse e aizzò una città irresistibilmente sintonizzata su Canale 21.
Per vigore di invettiva, Manna anticipò di vent’anni le intemerate di Vittorio Sgarbi, capra compresa. Sudista estremo, borbonico, ma soprattutto aitante anarchico, Angelo aveva un grande viso ovale, proprio come un grande uovo, occhi grandi, sul volto la patina pallida degli attori del cinema muto e la fronte era una spianata, abbandonata dai capelli sottili e neri che si erano ritirati dietro le tempie e sulla nuca.
Un grande personaggio, esaltato dalla tv delle prime urla, e uomo onesto nelle sue convinzioni estreme, “quando l’Italia era solo il Sud”, vindice paladino contro “le soldataglie piemontesi che hanno massacrato popolazioni inermi e usurpato le province meridionali”, fedele ai miti del passato quando, naturalmente, Napoli era capitale.
La vena polemica, sostenuta da una voce aggressiva, amplificata sui teleschermi, lo spinse in politica con un grande successo elettorale, proiettato alla Camera dei deputati da 82mila voti, ma – pare – trentamila annullati. Fondò anche un partito, il Fronte del Sud, con sede in via Gennaro Serra, alla spalle di Piazza Plebiscito, senza fortuna.
Angelo Manna (Acerra 1935 – Pozzuoli 2001) è stato un uomo generoso e un giornalista da trincea, un fenomeno in quella Napoli infelicemente spettacolare dove, come registrarono le cronache del tempo, una donna rubò una 127 compreso il guardamacchine aggrappato all’auto.
Nel finale del suo ultimo film Parthenope, Paolo Sorrentino ha dedicato un flash ad Angelo Manna, indimenticabile protagonista nella Napoli degli anni Settanta e Ottanta.