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Chiara Caselli: «Lavorare con Nuti fu un’esperienza devastante, oggi sarebbe stato denunciato»

Al Corsera: «Oggi la mentalità rispetto agli abusi è profondamente diversa. Ora non c’è più e non voglio aggiungere altro»

Chiara Caselli: «Lavorare con Nuti fu un’esperienza devastante, oggi sarebbe stato denunciato»
Chiara Caselli durante il photocall del film "Il passato e' una terra straniera" alla terza edizione della Festa Internazionale del Cinema di Roma. Roma 26/10/2008 Auditorium Parco della Musica. Photo Samantha Zucchi Insidefoto

Chiara Caselli: «Lavorare con Nuti fu un’esperienza devastante, oggi sarebbe stato denunciato».

Il Corriere della Sera intervista Chiara Caselli attrice, regista, fotografa. Si affermò negli anni Novanta.

Ha sempre avuto voglia di fare l’attrice?
«La fiducia la riacquistai dopo l’incontro con Liliana Cavani. L’avevo persa durante Occhiopinocchio di Francesco Nuti. Un’esperienza devastante. Dico solo che, oggi, in un mondo in cui la mentalità rispetto agli abusi è profondamente diversa, Nuti avrebbe avuto una denuncia. Avevo 26 anni, ero giovane. Lui non c’è più e non voglio aggiungere altro».

Incontrò Harvey Weinstein, l’orco di Hollywood.
«Lo incontrai a New York e… non ci provò, se è quello che volete sapere. Dopo avermi vista nel film corale di Marco Tullio Giordana mi chiamò per Pulp Fiction. Nel provino le battute me le diede Quentin Tarantino, il regista, secondo una modalità che in Italia non c’è. Al provino non presero me ma (come moglie di Bruce Willis), Maria de Medeiros. A Weinstein in seguito mandai il mio primo cortometraggio come regista, Per sempre, che racconta la fuga d’amore di due bambini. mi disse che provava a mandarlo a Hollywood per un’eventuale candidatura agli Oscar ma non c’era tempo».

I registi le chiedevano sempre di spogliarsi.
«Il mio corpo è un personaggio, se c’era necessità, nessun problema. Ricordo Belli e dannati di Gus Van Sant, eravamo nudi, io e Keanu Reeves, lui bello, sicuro di sé, con un rispetto totale del mio corpo. Io, una pischella di 23 anni. Tutto naturale. Invece fui in forte imbarazzo, mi spiace dirlo ma è così, con Michelangelo Antonioni, in Al di là delle nuvole».

Era il suo ultimo film.
«Vedevo un uomo, in quelle condizioni fisiche così precarie, attaccato alle attrici, filmava i nostri corpi con una certa morbosità. Per fortuna sua moglie Enrica e Wim Wenders, che collaborava, ebbero cura di me».

Che educazione le avevano dato?
«Rigida. Era una famiglia cattocomunista dell’emilia-romagna. Da bambina mi negarono l’abbonamento a Topolino perché ai loro occhi era un simbolo del consumismo. Lo stesso per gli spot di Carosello in tv. Mai visti. Alla Befana avevo la calza piena di libri. Il mio preferito era Il cavaliere inesistente di Italo Calvino. Quando lo lessi a mio figlio Teo, che oggi ha 20 anni, capii delle cose che mi riguardavano da vicino. Avevo un’immagine mentale di me, una condottiera bianca alla conoscenza del mondo, un senso di avventura».

Certo suo padre è una figura potente.
«Amava la musica classica, anche quella impervia. Ascoltava Stockhausen a tutto volume. Gli dissi: o me o lui. E, a 19 anni, andai via di casa».

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