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Cucurella e la sua insolita vita da idolo: «Prima nessuno mi filava, ora al supermercato è un casino»

Al Guardian: «Un infortunio alla caviglia mi ha cambiato la carriera, mi ha seguito un mental coach e ho capito che non bisogna prendere il calcio troppo sul personale».

Cucurella e la sua insolita vita da idolo: «Prima nessuno mi filava, ora al supermercato è un casino»
Mg Colonia (Germania) 30/06/2024 - Euro 2024 / Spagna-Georgia / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Marc Cucurella

Marc Cucurella è il giocatore rivelazione della Spagna nella vittoria dell’Europeo; il terzino del Chelsea ha raccontato il suo exploit in un’intervista al Guardian.

Cucurella: «Gli inizi col Chelsea sono stati un incubo. Un infortunio alla caviglia mi ha cambiato la carriera»

Si dice che sei un tipo molto simpatico… 

«Così dicono. Un po’, forse. Sono divertente più che altro. Non è che scherzo tutto il tempo, ma sono abbastanza radioso. Essere diventato l’idolo della gente è bello. Forse in passato alla gente piacevano solo gli attaccanti, i giocatori che dribblavano o segnavano gol. Se stanno comprando la mia maglietta o facendo striscioni per me, allora forse il calcio sta cambiando».

Prima dell’Europeo aveva giocato pochissimo con la nazionale spagnola. Dopo l’infortunio di Gayà, De La Fuente lo ha convocato:

«Mi ha chiesto come stessi, ha detto che Gayà era fuori e che potevo venire in nazionale. Gli ho risposto che ne sarei stato molto felice. Quella chiamata era come una ricompensa, un motivo per andare avanti; mi ha dato energia. Volevo godermi tutto e divertirmi dopo tutto quello che avevo passato».

Al Chelsea all’inizio non è stato facile… 

«Quando sono arrivato mi è successo di tutto. Siamo stati in hotel per molto tempo con la mia famiglia, le cose non andavano così bene a scuola con i miei figli, siamo stati derubati durante il Mondiale in Qatar. Mia moglie ha beccato i ladri nella nostra stanza da letto. Non è stato bello; siamo tornati in hotel perché eravamo spaventati. Poi sono stato in ospedale per tre giorni con un virus. Volevo giocare comunque, ma non ero in forma. Ero stato in squadre più umili prima del Chelsea e ci sono arrivato in un momento di cambiamento, un momento difficile, con molti giocatori nuovi e allenatori che si alternavano.  Ho avuto più allenatori al Chelsea che in tutta la mia carriera. Ma per i tifosi era sempre colpa mia, che ero stato pagato tanto e pretendevano tanti gol e assist».

Poi l’infortunio alla caviglia…

«Quello è stato il momento in cui è cambiata la mia carriera. Sei da solo, hai tempo per pensare, per lavorare. E quei due mesi mi hanno aiutato mentalmente. C’è un prima e un dopo nella mia carriera riguardante quell’infortunio. Ho visto un mental coach e questo mi ha aiutato. Le critiche sono dure, le prendi sul personale. Una volta che la partita è finita, è finita, basta; puoi essere infastidito per il risultato un paio di giorni, ma poi basta. A me invece succedeva che rimanevo arrabbiato. Così perdi fiducia. E una volta che perdi quella fiducia, non sei più la stessa persona. È come se avessi paura, sei confuso. Ma ora non mi importa più, se vinco o perdo devo stare bene».

All’Europeo c’è stato quel famoso episodio con la mano ai quarti…

«Mi ha colpito la mano molto chiaramente ma ho guardato l’arbitro e, molto sicuro di se stesso, ha detto: ‘No, no”. Ho subito pensato: “Puoi rilassarti”. Non possono dire prima che non è evidente, poi che è stato un errore arbitrale. Sono loro che creano polemiche. E’ tutto un po’ strano, ma adesso non possiamo farci più niente».

Ora è un campione d’Europa…

«Prima alla gente piacevano le superstar, ora entrano in empatia con me. È vero che prima potevo andare al supermercato o qualsiasi altra cosa e ora è un po’ un casino… Adesso ci sono anche gli striscioni “se avrò un bambino, lo chiamerò Marc, se è una bambina, Cucurella”».

La canzoncina “Haaland tiembla, que viene Cucurella” (Haaland trema, che sta arrivando Cucurella) non è stata presa molto bene dal norvegese…

«E’ divertente, dai, alla fine ci si fa una risata. È così che dobbiamo viverci la vita. Prendiamo a volte il calcio troppo sul serio, ma alla fine è uno sport».

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