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De Laurentiis: «la Serie A paga oltre il 60% delle entrate fiscali che lo Stato incassa dallo sport»

Il presidente del Napoli ribadisce le ragioni per cui si batte per l’autonomia della Lega Serie A

De Laurentiis: «la Serie A paga oltre il 60% delle entrate fiscali che lo Stato incassa dallo sport»
Napoli 16/03/2023 - riunione comitato di ordine e sicurezza pubblica / foto Image nella foto: Aurelio De Laurentiis

De Laurentiis: «la Serie A paga oltre il 60% delle entrate fiscali che lo Stato incassa dallo sport».

In serata Aurelio De Laurentiis pubblica un comunicato sulla questione autonomia Lega Serie A.

Scrive De Laurentiis:

Non tutti sanno che la Serie A, tramite la mutualità, contribuisce al sistema federale finanziando il calcio italiano. Infatti finanzia parte dei costi della Federcalcio, della Serie B, della Lega Pro e della Lega dilettanti. E questo avviene con 120 milioni annui, pari al 10% di tutti i suoi introiti dai diritti audiovisivi. Inoltre, la Serie A paga oltre il 60% delle entrate fiscali che lo Stato incassa dallo sport. Proprio per quanto sopra, il vice presidente della Camera onorevole Mulè, con un emendamento legislativo, impone una maggiore rappresentatività nella serie A rispetto al passato ed è per questo che quest’ultima richiede una autonomia piena per le decisioni relative a tutto ciò che la riguarda. Qui Gravina non c’entra nulla, ma c’entrano le istituzioni. Leggo su alcuni organi di stampa di un mio rapporto conflittuale con il Presidente della Figc Gabriele Gravina. Nulla di più falso. Io lotto per ottenere una Serie A florida e senza debiti, a beneficio di tutto il sistema. 

Serie A e l’autonomia, lo scontro tra falchi (De Laurentiis e Lotito) e colombe (Elkann-Marotta-Galliani) – Il Napolista

Una riforma all’italiana, figlia del “tengo famiglia” che da sempre governa tutto ciò che si muove nel nostro Paese. È quel che potrebbe venire fuori nell’Assemblea di Lega in programma domani. In gioco c’è la tanto strombazzata autonomia della Serie A. Nell’anno 2024, un tempo in cui non dovrebbe essere più spiegato l’elementare concetto che il calcio è business, la Serie A (o meglio: una parte della Serie A) vorrebbe autodeterminarsi. Come avviene per la Premier League. Come avviene in Nba. Il giorno del giudizio è il 4 novembre data dell’Assemblea Straordinaria della Figc in cui sembrava che la Lega Serie A dovesse arrivare con un mandato di netta rottura con la Federazione. Ora invece questa conclusione non è così sicura.

Si è creata una frattura. Da un lato, i club che non vogliono più rimanere invischiati in giochi di percentuali, con decisioni fondamentali per l’azienda Serie A da contrattare in Figc col 34% dei Dilettanti, il 20% dell’Assocalciatori e il 10 dell’Assoallenatori. Vorrebbero dare piena attuazione alla legge Mulé che impone un maggior peso per le leghe professionistiche. A capo di questa corrente ci sono Claudio Lotito e Aurelio De Laurentiis da tanti considerati gli unici due presidenti puri della Serie A. Vivono delle loro aziende calcistiche, le gestiscono da vent’anni seguendo criteri che li hanno portati ad essere ferocemente criticati dai loro tifosi. I due non sono sovrapponibili, spesso sono stati su posizioni opposte. Lotito è più politicizzato, De Laurentiis meno. Una volta, vennero persino alle mani. Ma stavolta sono dalla stessa parte: vorrebbero non dover mercanteggiare per consentire alla Serie A di crescere. Vogliono parlare più di business che di politica.

La Serie A e il pantano della politica

Nel frattempo, però, silenziosamente, qualcosa è cambiato. Nel sottosuolo della diplomazia, alcuni club si sono messi al lavoro per evitare la rottura con Gravina e la Federcalcio. E diluire l’autonomia della Serie A. È nata quella che per brevità possiamo definire la linea morbida. Guidata da Inter, Juventus, Atalanta, il Monza di Galliani (il grande tessitore), con al seguito Bologna, Udinese, forse la Roma. L’autonomia, per loro, non sembra più un obiettivo fondamentale. È invece cominciato il gioco dei contrappesi, delle percentuali. Dei compromessi per non scontentare nessuno. Soprattutto per non arrivare a una frattura, allo scontro con Gravina. La Serie A si accontenterebbe di salire al 18% e a 4 consiglieri in Federcalcio.

Un accordo al ribasso che sarebbe mediaticamente contrabbandato come un passaggio importante sulla strada dell’autonomia. Nella realtà non modificherebbe nulla. Del resto è anche complesso scardinare da un giorno all’altro un sistema sedimentato da cinquant’anni. Il calcio, e quindi anche la Serie A, in Italia è gestito con mentalità politica e non segue i principi del business. È lungo l’elenco di compromessi che chiunque ha dovuto sottoscrivere e non tutti se la sentono di portare avanti una battaglia aspra con la Figc guidata da Gravina.

Il fronte delle colombe che non vuole rompere con Gravina

Gli esempi sono tanti. Adriano Galliani, per dirne una, sa che il Monza è in vendita. Presto non avrà più un ruolo in Serie A. I figli di Berlusconi non vogliono saperne di proseguire. E la mozione degli affetti nei loro confronti non ha sortito risultati. Spinsero Berlusconi in vita a vendere il Milan, figuriamoci il Monza ora che il papà non c’è più. Oppure, come ricordano i beninformati, la Juventus deve tanto al presidente della Federcalcio. In occasione dell’inchiesta plusvalenze che portò alla penalizzazione del club e alle squalifiche di Agnelli e Paratici, la multa è stata modesta rispetto al giro d’affari e alla portata dello scandalo: appena 750mila euro. Lo stesso Marotta – vero e proprio dominus della Serie A, con mai nascoste ambizioni di incarichi istituzionali – sa benissimo che una Federcalcio ostile avrebbe potuto in vari modi evidenziare la precarietà (per usare un eufemismo) dei conti del club nerazzurro. Anche l’Atalanta, dopo la parziale cessioni agli americani, preferisce mantenere buoni rapporti diplomatici col Palazzo.

Dall’altra parte Lotito e De Laurentiis

Ovviamente non è che dall’altra parte ci siano verginelle. Stiamo pur sempre parlando del calcio italiano. Non sono pochi a parlare di ingratitudine da parte di De Laurentiis cui Gravina fece un favore non da poco con la proroga della scadenza del divieto di multiproprietà che la Figc spostò al 2028-2029. Quasi una norma ad personam che consentì a De Laurentiis di continuare a tenere la proprietà del Bari oltre a quella del Napoli. Lo stesso Adl potrebbe essere indotto a un ammorbidimento della posizione da parte del ministro Abodi anch’egli schierato tra i concilianti. Abodi al momento riveste un ruolo chiave in ottica stadi per gli Europei e il presidente del Napoli è molto (ma molto) interessato a ottenere il Maradona.

La frattura è netta. L’altra sera, sia Gravina sia il suo braccio destro Giancarlo Viglione erano all’anteprima di “Vita da Carlo 3” la terza stagione della sit-com prodotta da De Laurentiis. Non sono passate inosservate né le loro facce buie né il saluto precipitoso senza fermarsi a cena.

I rapporti sono ai minimi termini. Domani nell’Assemblea di Lega potrà consumarsi l’ennesimo strappo del calcio italiano. Che non se la passa benissimo. È di oggi – tanto per dire l’ultima – la notizia che la procura di Roma ha chiesto di sequestrare 140 mila euro al presidente della Figc Gravina accusato di autoriciclaggio.

 

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