Aveva ragione il Times: l’arbitrato sancisce che le regole sulle transazioni con parte correlate vanno modificate. Esultano i club degli Stati arabi
Aveva ragione il Times, che si era buttato avanti nell’anticipare il verdetto: il Manchester City ha vinto una “storica battaglia legale con la Premier League” (così la definisce tutta la stampa inglese) sulla regolamentazione degli affari tra parti correlate (le altrimenti dette “Apt”), ovvero le regole che disciplinano i rapporti commerciali tra i club di proprietà statali e le aziende riconducibili agli stessi Stati.
Introdotte a dicembre 2021 sulla scia dell’acquisizione del Newcastle United guidata dai sauditi, le regole sono state progettate per mantenere la competitività della Premier League impedendo ai club di gonfiare accordi commerciali con società collegate ai loro proprietari. Le regole stabiliscono che tali transazioni devono essere valutate in modo indipendente per essere di “equo valore di mercato”.
L’arbitrato indipendente che era stato investito della causa fatta dal Manchester City ha sancito che hanno ragione loro: i limiti a questo tipo di sponsorizzazione sono anticoncorrenziali. Per il Telegraph si tratta di un “verdetto epocale, visto dai club come un disastro perché cambierà la direzione della futura governance finanziaria del calcio inglese”.
Ora dovrebbe essere più facile fare accordi di sponsorizzazione redditizi con aziende strettamente associate ai proprietari, ma non solo: anche acquistare e vendere giocatori tra club che hanno gli stessi proprietari.
Si tratta di un caso che per molti è più impattante sulla competitività del calcio inglese della pur molto attesa sentenza sulla 115 accuse contro il City.
Il City, di proprietà di Abu Dhabi, aveva avviato un’inedita richiesta di arbitrato per “discriminazione” sulle norme che disciplinano il valore di mercato di sponsor e trasferimenti. L’udienza arbitrale è sata secretata, anche se alcune fonti dicono che nella stanza sono stati visti fino a 60 avvocati.
Il City sosteneva di vittima di una “tirannia della maggioranza” e aveva chiesto “danni per le perdite subite a seguito dell’illegalità” delle norme del fair play finanziario. Il club sosteneva che le regole erano state concepite per ostacolare i proprietari degli stati del Golfo e i membri di gruppi di proprietà multi-club (cosa che guarda un po’ vale per il City in entrambi i casi), ideate solo a causa del desiderio dei rivali di “salvaguardare i propri vantaggi commerciali”.