L’Atalanta, oggi invidiata per gestione e risultati, in un tempo non lontano aveva il Toro come riferimento. Buongiorno, 40 milioni spesi come?
Il Torino rimpiange Buongiorno. La Stampa: Cairo e De Laurentiis iniziarono entrambi da un fallimento
Povero Torino che ha perso 3-2 a Cagliari e ovviamente rimpiange Buongiorno e Bellanova.
Scrive La Stampa con Antonio Barillà:
Il problema, denunciato in tempi meno oscuri, non ha radici nelle sue scelte tattiche ma nelle strategie di mezza estate, quando la società ha creduto presuntuosamente di compensare la cessione di Buongiorno (35 milioni più 5 di bonus in saccoccia) e i mancati rinnovi di Rodriguez e Djidj con Coco – 30 presenze in Liga nel curriculum dopo anni di Seconda Divisione spagnola -, Maripan e
Walukiewicz, senza dimenticare il mancato riscatto di Lovato che in questo quadro potrebbe apparire un gigante.
La strategia di vendere Buongiorno e Bellanova
Così, mentre Buongiorno guarda tutti dall’alto con il Napoli e Bellanova si gode il quarto posto con l’Atalanta, il Toro affonda dimenticando le illusioni iniziali, al limite rivendicando l’alibi della sfortuna che è reale ma non basta a giustificare saccenza e miopia. Forse, dei destini dei gioielli perduti, non si meraviglierà il ds Vagnati, che ha indicato il Toro come transito verso «club importanti». Napoli e Atalanta lo sono, ma lui rammenti che Cairo e De Laurentiis sono partiti insieme da un fallimento – omissis sui traguardi raggiunti – e che l’Atalanta, oggi invidiata per gestione e risultati, in un tempo non lontano aveva il Toro come riferimento.
Tifare il Torino di Cairo è un po’ come vivere nei paesi comunisti: non c’è futuro (Il Napolista – ottobre 2023)
Tifare il Torino di Cairo è un po’ come vivere nei paesi comunisti: non c’è futuro. Quella sensazione tremenda che domani sarà uguale a oggi come a ieri. E a dopodomani. Quella cappa di grigiore che finisce con l’entrarti nelle ossa e inesorabilmente scava nella tua capacità di sognare. Non hai più nemmeno la forza per piangere. L’angoscia ti è entrata dentro. Magari un giorno, dopo una discreta attesa, ti arriva la Trabant che è il Sanabria di turno. Tu lì per lì fai finta di essere felice. Perché essere tifosi in fondo è avere la capacità di astrarsi dalla realtà. Di giocare le partite mille volte prima che si disputino realmente. E ovviamente nella tua fantasia il derby lo vinci, l’Inter la batti. Adesso lo sai già che perdi. Non giochi nemmeno più con la fantasia. Manco una finale di Coppa Italia. Niente. E ti tocca pure sorbirti il compagno che ti dice: sì ma non andiamo mai in Serie B. Non puoi nemmeno fuggire: dove vai? A tifare per quelli bianchi e neri? Meglio la Trabant, ovviamente.
Certo se tifi Real Madrid o Manchester City, finisci con l’assuefarti alle vittorie e neanche va bene. Ma eliminare il sogno vuol dire inaridire l’essere tifosi. La siccità. I tifosi del Torino sono prigionieri. Senza alcuna possibilità di conquistare la libertà. Si ritrovano il pomeriggio e ricordano Valentino Mazzola, Gabetto, e poi gli anni Settanta, Pulici Graziani, e ancora: la sedia di Mondonico. Scene che, come i pomeriggio di maggio di Nanni Moretti, non torneranno più. E ogni tanto tocca pure leggere su La Pravda interviste che incensano il presidente e i magnifici risultati raggiunti dal Lokomotiv Torino.
È come se avessero eretto un muro a Superga. La vita scorre uguale. Vestiti dozzinali. Tristi. Minestre prive di sapore. Programmi tv deprimenti. È l’amara vita del tifoso del Torino. Che sogna almeno un Gorbaciov, una Perestrojka. Non diciamo il capitalismo più sfrenato, però anche loro avrebbero diritto a un paio di jeans, almeno un paio di scarpe decenti, tre partite l’anno da giocarsi con la possibilità di vincere. Una controfigura di Gigi Meroni. Un Lavezzi.
Torino va a letto sognando un nuovo 1989: crollerà mai il muro di Cairo? Solidarietà al popolo granata.