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Ma davvero il Napoli ha sofferto a Empoli? No, non è vero. È (ahinoi) cambiata la narrazione del calcio

Se giochi diversamente dalla moda imperante, e il Napoli di Conte lo fa sempre, subisci lo stigma degli esteti. Il calcio vero non è quello mediatico

Ma davvero il Napoli ha sofferto a Empoli? No, non è vero. È (ahinoi) cambiata la narrazione del calcio
Mp Empoli 20/10/2024 - campionato di calcio serie A / Empoli-Napoli / foto Matteo Papini/Image Sport nella foto: Antonio Conte

Ma davvero il Napoli ha sofferto a Empoli? Oppure, più semplicemente, esistono altri modi di giocare a calcio? Le domande sono pertinenti. Perché, rifacendoci alle statistiche tanto di moda, ossia gli expected goals (i gol attesi), il Napoli ha meritato il gol mentre l’Empoli no. Secondo questa bislacca statistica – che al fondo ha l’obiettivo di normalizzare il calcio, diciamo che sono i percentili del football: una roba nazistoide – il Napoli avrebbe dovuto segnare 1,4 gol mentre l’Empoli 0.69. Quindi questa statistica ci sta dicendo che il Napoli è stato pericoloso il doppio dell’Empoli. Ed è vero.

La differenza è sempre la stessa: vita reale e vita percepita. La vita percepita racconta di un Napoli messo sotto dall’Empoli. Semplicemente perché il Napoli sceglie – sceglie, ripetiamo: sceglie – spesso di lasciare il pallino del gioco all’avversario. Come del resto ha fatto sabato sera Thiago Motta in Juventus-Lazio tant’è vero che l’espulsione di Romagnoli nasce da una ripartenza su palla conquistata (lo schema su cui Thiago aveva impostato la partita) e dopo l’espulsione, con un uomo in più, la Juve non sapeva cosa fare. Non perché, come ha detto il tecnico, si fossero fatti prendere dalla frenesia. Ma perché il piano partita era un altro. E poiché oggi i calciatori sono addestrati ad avere neuroni a una dimensione (per dirla alla Marcuse), non sapevano più che cosa fare.
Ma torniamo a noi. L’Empoli in tutta la partita impegna Caprile tre volte. Sempre nel primo tempo. Nessuna parata passerà alla storia del calcio. Esposito prova a imitare Van Basten ma il suo tiro al volo è centrale. Poi, il tiro più pericoloso: quello di Pezzella, pericoloso solo perché il pallone viene leggermente deviato e Caprile è bravo con la gamba sul primo palo. Il terzo tentativo è ancora di Esposito, sul secondo palo: un destro del tutto normale che Caprile sceglie di non bloccare. Tre tiri che, insieme, il cervellone della statistica non ha considerato degni di una sola occasione da gol. Ricordiamo che l’Empoli si è fermato a 0,69 negli X-Gol.

Il punto vero della questione è quel che oggi l’utente medio desidera. Quel che oggi viene erroneamente considerato giocare bene a calcio. Una mistificazione, ma tant’è. Avere il possesso palla. Il pallino del gioco. Il calcio propositivo. Il Napoli di Conte, per scelta, gioca in maniera diversa. O meglio, gioca in più modi. Non vuole avere sempre il pallino del gioco. Non lo ha mai voluto. Nemmeno quando giocava Lobotka, figuriamoci quando il principale costruttore non c’è. Come oggi. A Empoli il possesso palla è finito in parità: 50 e 50. Nelle restanti sette partite, solo due volte il Napoli ha avuto il pallone più tempo dell’avversario. Nell’infausta prima giornata, a Verona, dove perdemmo 3-0. E contro il Parma quando il Napoli giocò gli ultimi venti minuti con un uomo in più. Ha battuto il Como col 40% di possesso palla. Il Monza col 48. Ha pareggiato in casa della Juventus col 35% di possesso palla. Ha vinto il Cagliari col 49%. Ha battuto il Bologna col 39.

Anche così si può giocare a calcio. Non c’è nulla di disdicevole. Accade in ogni sport. Non tutti giocano a tennis come Federer. Vincere giocando come Nadal non è una diminutio. È tutto da stabilire che una Milano-Sanremo vinta partendo a cinquanta chilometri dall’arrivo valga più di una Sanremo conquistata in volata e uscendo agli ultimi cento metri. Potremmo continuare all’infinito. Nello sport ciascuno sceglie la tattica che ritiene più consona alle proprie attitudini.

Ma quel che ci sconvolge, è che gli allenatori ci provano anche a spiegare che le partite di calcio non si vincono con la tattica bensì con l’atteggiamento. Ma sono parole al vento. Lo ha fatto Fonseca l’altro giorno: «a Firenze abbiamo perso perché non abbiamo avuto cattiveria e voglia di correre più degli avversari. Ci è mancata l’aggressività, altro che la tattica». Lo ha detto Antonio Conte a Empoli quando ha risposto alla domanda sul perché non ha schierato insieme Simeone e Lukaku. «Avevamo preparato la fase difensiva col 4-5-1. Non è che se non stai vincendo, devi mettere una punta in più. Magari mettevi una punta in più e prendevi gol in contropiede. Non era quello il problema, dovevamo migliorare nel palleggio, nella costruzione, nell’essere più incisivi, nel vincere i duelli». Il campo. Il terreno, per dirla usando un gergo da giornalismo bellico.

Il Napoli di Conte ha un suo gioco. Ha una sua identità, pure ben definita. Può non piacere ma ce l’ha. Il Napoli ha giocato spesso come oggi a Empoli. Dove – ripetiamo – ha subito tre tiri in porta nel primo tempo, e basta. Nella ripresa non ha mai sofferto. Dopo il rigore, la partita è filata liscia. È una perversione contemporanea quella di pensare che gli avversari non debbano tirare in porta o non possano avere il controllo della palla. A questo proposito amiamo ricordare la frase di un’altra persona che evidentemente di calcio non capisce niente. Si chiama Karim Benzema che dopo un Real Madrid-Psg disse: «Non so come la gente veda il calcio, avere il possesso palla non significa che stai dominando». Ma cosa vogliamo che capisca Karim rispetto a Diagonale25 che scrive sul giornale on line “Disegnotattico.ics”.

Non stiamo neanche a ricordare che il Napoli ha vinto due scudetti su tre giocando così. È una panzana storica che il Napoli debba giocare in un solo modo. Successe con Vinicio tanti anni fa, e poi è successo con Sarri e in parte – in parte – con Spalletti. Ai tempi di Maradona di partite così il Napoli ne vinceva tante. Una a Marassi contro la Sampdoria, con puntazza di Maradona da fuori area, con Diego che festeggiò buttandosi nelle pozzanghere del Ferraris.

Siamo immersi in un’epoca di ideologia calcistica. Dove il calcio viene raccontato in modo lunare. E dove impera la pretesa di dover giocare tutti allo stesso modo. Ma questo, per fortuna, riguarda solo la narrazione. Il calcio, quello vero, è un’altra cosa.

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