È una squadra che sa fare più cose e sa farle bene. Cambia volto durante i match. Ogni partita, il tecnico aggiunge qualcosa
Tranquillità
C’è qualcosa di ineffabile nel modo in cui il Napoli ha vinto per 2-0 a San Siro. È un discorso di sicurezza che non è proprio assoluta, che non può esserlo, visto che la squadra di Conte ha anche vissuto dei momenti di difficoltà e ha concesso alcune occasioni al Milan – ma sarebbe impensabile giocare un’intera partita a Milano, contro il Milan, senza che i rossoneri costruiscano qualcosa in chiave offensiva. Allora forse il termine più giusto è tranquillità: il Napoli ha approcciato e gestito la partita in modo tranquillo, consapevole, maturo. Sia a livello tattico che a livello emotivo.
La squadra di Conte ha trovato subito il vantaggio e questo ha aiutato, aiuta sempre, ma in fondo – come vedremo – anche il gol di Lukaku è un microevento dall’enorme significato tattico. Poi ha saputo contenere l’inevitabile ritorno del Milan, ha accettato di vivere dei minuti in trincea, ha aspettato il momento giusto per sfruttare le debolezze degli avversari e così ha trovato il raddoppio. Infine, ma non per importanza, ha giocato un secondo tempo di straordinaria solidità.
Ecco, il termine solidità potrebbe/dovrebbe essere messo accanto a tranquillità. O meglio: la tranquillità manifestata e fatta percepire dal Napoli è legata proprio alla sua solidità. Alla sua capacità di giocare lunghi segmenti di partita dando l’impressione di non poter prendere gol, se non quando succede qualcosa di veramente speciale. Per esempio, contro il Milan, i grandi rischi corsi da Meret nel primo tempo sono arrivati solo dopo degli errori grossolani in fase di appoggio. Nella ripresa, gol in fuorigioco a parte, solo l’ingresso di Leão – un giocatore che resta speciale, al di là del momento che sta vivendo – e una sgasata di Chukwueze hanno portato a delle occasioni vere. Per il resto, il Napoli ha controllato agevolmente la gara.
Iniziare bene
Dal punto di vista puramente tattico, il Napoli è sceso sul campo di San Siro mostrando fin da subito di avere delle idee piuttosto chiare. E anche nuove, come ormai succede in maniera costante da quando c’è Conte. La volontà del tecnico azzurro era/è stata quella di pressare il Milan uomo su uomo, praticamente in parità numerica. E allora ha schierato la sua squadra con un 4-4-2 lineare – sia in fase di pressing che di costruzione – e iperaggressivo. Sì, insomma: Conte ha disegnato il suo Napoli perché si mettesse a specchio col Milan di Fonseca, che da qualche settimana si schiera stabilmente con un sistema a due attaccanti – ieri erano uno e mezzo, con Morata supportato da Loftus-Cheek. In questo modo, si sono determinate delle vere e proprie coppie difensive:
Due frame, uno registrato sullo 0-0 e uno sullo 0-1, che mettono in evidenza l’aggressività del Napoli in fase di non possesso
Il Milan, inevitabilmente condizionato dalle assenze di Theo Hernández e Reijnders così come dalla scelta di rinunciare a Leão, ha sofferto moltissimo in avvio. I dati di Whoscored dicono che, se guardiamo ai primi cinque minuti della partita di San Siro, il Napoli di Conte ha tenuto un possesso palla superiore al 75% (76,2%, per l’esattezza). E quindi si può dire, non è una frase iperbolica: a inizio gara, gli azzurri non hanno fatto vedere il pallone ai rossoneri. O comunque l’hanno recuperato un attimo dopo averlo perso.
Ecco, questo è un concetto importante. Perché è così che si sono determinate le condizioni per il gol di Lukaku. Il Napoli, infatti, dopo aver accarezzato il vantaggio dopo tre minuti con il tiro di Kvaratskhelia rimpallato da Lukaku, ha continuato a soffocare il Milan nella sua trequarti. Ha aggredito in modo opprimente i rossoneri fin dentro la loro area, e così – al minuto 4.30 – Maignan ha giocato un pessimo passaggio verso Morata, costretto a retrocedere nella sua metà campo per poter toccare la palla. La disposizione tattica voluta da Conte, cioè la vicinanza estrema tra tutti i giocatori del Napoli, ha portato McTominay a sporcare l’appoggio di Maignan e poi ha permesso a Gilmour e Rrahmani di perfezionare il recupero palla.
A quel punto, il blocco medio del Milan è stato infilato con due passaggi in verticale. Come se fosse la cosa più semplice del mondo. Chiaramente non lo è, servono qualità tecniche e di posizionamento, per imbastire e rifinire e concludere un’azione del genere. E poi serve Lukaku, uno che non si fa pregare quando deve andare col fisico a sverniciare – letteralmente, stavolta – Pavlovic e a battere il portiere in uscita.
Sembra tutto molto facile, non lo è
Come abbiamo già detto in precedenza, questo è un gol estremamente significativo dal punto di vista tattico. Perché, se guardate bene l’inizio del video, sono l’approccio e i meccanismi di pressing del Napoli a ricacciare il Milan nella sua metà campo. E la stessa cosa avviene quando Maignan inizia a camminare con la palla al piede: il portiere del Milan forza e quindi sbaglia il passaggio perché non ha soluzioni semplici. È costretto a rischiare, se vuole avviare l’azione senza lanciare lungo. Sceglie di partire dal basso e, di fatto, regala il pallone al Napoli. Il resto, come si dice in certi casi, è storia.
Continuare meglio (ovvero, la sofferenza solo apparente)
È esattamente qui, cioè dopo il gol di Lukaku, che si è manifestata la vera “magia” di cui è capace il Napoli di Conte. Nel breve volgere di qualche minuto, infatti, la squadra vista nei primi minuti – quella iperaggressiva e dal possesso palla avvolgente, viene da dire stordente – si è trasformata in qualcosa di diverso: pur mantenendo una buona intensità in fase di pressing, gli azzurri hanno tenuto un po’ meno la palla (la percentuale di possesso del Milan, tra il minuto 10′ e l’intervallo, è stata pari al 67%) e hanno lasciato un po’ di campo ai loro avversari.
I giocatori di Fonseca, però, non sono riusciti ad approfittarne. Al punto che gli unici due pericoli reali per la porta di Meret, il tiro appena fuori di Musah e il tocco di Chukwueze sull’uscita del portiere azzurro, sono arrivati su due palloni persi dal Napoli in fase di costruzione. Per il resto, 2 delle 3 conclusioni finite nello specchio sono state tentate da fuori area. La terza è un colpo di testa di Loftus-Cheek ben contenuto da Meret.
Due immagini che raccontano l’atteggiamento difensivo del Napoli: cinque uomini nella metà campo del Milan quando i rossoneri inizianvao l’azione, ma poi 12 secondo dopo gli uomini di Conte erano tutti, o quasi, sotto la linea della palla.
In virtù di tutto quello che abbiamo detto, si può dire che il Napoli abbia sofferto solo in apparenza. Nel senso: è chiaro che Conte, come tutti gli allenatori del mondo, vorrebbe che la sua squadra tenesse sempre – e sempre bene – il pallone così da minimizzare i rischi e non concedere neanche una mezza occasione. Ma giocare in questo modo non è possibile, occorre avere degli strumenti difensivi e occorre avere la lucidità e la condizione fisica per farli fruttare. Da questo punto di vista, il Napoli è (diventato) una squadra di enorme affidabilità. Che non si disunisce mai e che sa anche mettersi lì, rannicchiata nella propria metà campo, in attesa che passi la tempesta.
Il gol di Kvara
Questo non vuol dire avere un atteggiamento speculativo: vuol dire avere coscienza che una partita di calcio vive di momenti. Lo dimostra il fatto che, nonostante il Milan abbia tenuto palla per un tempo nettamente superiore al Napoli per tutto il primo tempo (almeno dopo il gol di Lukaku, come detto), gli azzurri abbiano trovato il raddoppio prima dell’intervallo. Come? Sfruttando il contesto tattico che si era determinato nell’ultima fase del primo tempo. Basta vedere il video del gol di Kvaratskhelia per capire cosa intendiamo:
Un altro gol estremamente tattico
Grazie ai suoi meccanismi di costruzione e di possesso, il Napoli manipola e dilata gli spazi difensivi del Milan: il movimento di Lukaku ad allungare la difesa avversaria e il lancio perfetto di Di Lorenzo mandano a vuoto il pressing degli attaccanti, si crea l’occasione per un cross pericoloso ma poi la palla viene risputata fuori dalla difesa del Milan. A quel punto è di nuovo il tempo della riaggressione alta, con sei giocatori di Conte dentro l’area di rigore avversaria. Possesso recuperato, Anguissa e Politano puliscono l’azione e Kvara si ritrova occhi negli occhi con Emerson Royal. Una situazione perfetta per l’esterno georgiano, che può rientrare sul destro e cercare la porta. Il tiro, come direbbero i telecronisti di una volta, non è irresistibile. Maignan, però, non è in una gran serata: palla in rete, 0-2.
Ecco, quello relativo a Kvara è un altro aspetto importante. E che fa tutta la differenza del mondo rispetto alla sciagurata stagione 23/24. Ora che il Napoli ha un allenatore, infatti, durante le partite si manifestano di nuovo le condizioni per cui l’attaccante georgiano può essere di nuovo decisivo. Lo diciamo in modo elementare: Kvara è un grandissimo giocatore che però, esattamente come tutti i suoi colleghi, preferisce essere braccato o comunque marcato da un solo avversario. Che, naturalmente, soffre i raddoppi e le marcature triplicate. Di conseguenza, il compito del suo tecnico è quello di creare dei meccanismi che lo isolino uno contro uno con il suo marcatore. Non è detto che ogni volta venga fuori un gol o un assist decisivo, ma di certo Kvara oggi ha molte più occasioni di poter indirizzare una partita, rispetto a un anno fa.
La ripresa
Lo 0-2 segnato poco prima dell’intervallo ha avuto un effetto anestetico sulla partita. Nel senso che, in quella situazione tattica e di punteggio, il Napoli non ha avuto più bisogno di forzare. E così Conte ha abbassato il baricentro della sua squadra (nella ripresa è stato posto, di media, a 44 metri) e ha “chiamato” il ritorno al 5-4-1 in fase di non possesso: se Politano, nel primo tempo, aveva fatto praticamente il pendolo tra difesa e centrocampo, nella ripresa il suo ruolo è stato quello di quinto. Senza dubbi, senza mezze misure:
Due immagini che non lasciano spazio alle interpretazioni: a Milano, nel secondo tempo, il Napoli si è schierato con il 5-4-1 in fase di non possesso
Il gol di Morata poi annullato per fuorigioco, arrivato pochi secondi dopo il fischio di inizio della ripresa, avrebbe potuto cambiare l’inerzia della gara. E invece il Milan si è praticamente fermato lì. A dirlo sono i numeri: il primo tiro – non il primo tiro in porta: il primo tiro in assoluto – dei rossoneri è arrivato al minuto 63′, quando erano già entrati Leão e Pulisic. La prima conclusione nello specchio, scoccata proprio dal portoghese, è arrivata al minuto 83′. Poi anche lo stesso Pulisic ha messo la palla dentro i pali di Meret (al minuto 91′), tra l’altro poco dopo aver sciupato una buona occasione su assist di Chukwueze: l’esterno nigeriano, andato via all’ammonito Olivera, ha servito un buon cross rasoterra, ma in quel momento Pulisic ha dimostrato come la sua esclusione sia stata una scelta inevitabile.
È chiaro, anche le assenze – e la panchina ai minimi termini – del Milan hanno avuto un peso sull’andamento della partita di ieri. Ma il racconto e i dati del secondo tempo, in qualche modo, dimostrano che il Napoli ha ampiamente meritato la vittoria. Per l’intelligenza con cui ha approcciato e ha inclinato la gara a suo favore, per la diligenza con cui l’ha portata a casa nel momento in cui non c’era più urgenza di accelerare. In questo senso, l’unico vero cambio tattico fatto da Conte (Mazzocchi per Politano, poi nell’ultimo quarto d’ora sono entrati anche Neres e Simeone) è un vero e proprio manifesto ideologico. È Antonio Conte in purezza.
Conclusioni
Cosa vuol dire Antonio Conte in purezza? Semplice: che il Napoli, oggi, è una squadra pragmatica in senso positivo. Che sa fare tantissime cose, che sa farle bene. Che sa scegliere quando essere alfa e quando essere omega, pure all’interno della stessa partita. E che, soprattutto, è stata e viene allenata – nella testa, nelle gambe, nella resistenza aerobica – per non accusare sbalzi di tensione, tattica ed emotiva, quando le partite cambiano volto per via degli avversari.
Questo è il punto di rottura e di cambiamento: oggi il Napoli sa essere quello che vuole, quando vuole, ma sa anche adattarsi a ciò che gli succede intorno. A un Milan con Theo e senza Theo, con Leão e senza Leão, con Pulisic e senza Pulisic. A un Milan reso catatonico dal pressing subito nei primi minuti, poi via via sempre più offensivo – anche per la semplice urgenza di recuperare la partita.
Naturalmente le cose potrebbero andare diversamente contro Atalanta, Inter o Manchester City, sia per questioni di qualità che di pura esperienza tattica. Ma il trend, come dire, è ormai abbastanza consolidato: il Napoli di Conte, quando c’è da difendersi, lo fa in modo ordinato ed efficace. È difficilissimo fargli gol, e in avanti trova quasi sempre, in ogni gara, il modo per creare delle buone occasioni da rete. È il contrario dell’ineffabilità, è pura sostanza. Era quello che serviva per ridare credibilità a una squadra, ai giocatori che la compongono, a un intero progetto. Sarà divertente capire fino a dove arriverà questo progetto, sia a livello tattico – visto che continua a evolversi di partita in partita – che di classifica.