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Davvero il Napoli di Conte ha sofferto contro il Lecce? No, per niente. Piuttosto, Lukaku è un corpo estraneo

Conte prosegue nel suo trasformismo, nel procedere per correzioni successive. In questo Napoli che cambia (e cambierà ancora), Romelu fatica

Davvero il Napoli di Conte ha sofferto contro il Lecce? No, per niente. Piuttosto, Lukaku è un corpo estraneo
Napoli 26/10/2024 - campionato di calcio serie A / Napoli-Lecce / foto Image Sport nella foto: esultanza gol Giovanni Di Lorenzo

Un Conte tutto nuovo, il solito Conte

Da un punto di vista puramente tattico, Napoli-Lecce è stata una partita molto interessante. Perché, nel suo piccolo, ha mostrato e illustrato l’approccio di Antonio Conte alla nuova tappa della sua carriera. Intendiamoci, non è successo nulla di così lontano da quello che abbiamo visto finora, non abbiamo assistito ad alcuno sconvolgimento degno di tale definizione. Il punto, però, è proprio questo: l’allenatore del Napoli sta incidendo tantissimo con dei cambiamenti piccoli ma continui, viene da dire inesorabili. Sia nello studio del piano-partita per ogni partita, sia nei correttivi che apporta a gara in corso. E ora, possiamo dirlo, anche quando si tratta di varare il turn over, di gestire energie ed equilibri tra i giocatori.

Da questo punto di vista, ciò che sta facendo Conte è (sempre più) sorprendente. Chi si aspettava una filosofia monolitica, un modello tattico fisso, ha dovuto ricredersi: il Napoli visto – sarebbe meglio dire disegnato e costruito per giocare – contro il Lecce è una squadra diversa da quella che ha affrontato Monza, Como ed Empoli, se guardiamo alle ultime tre partite. È una squadra pensata per l’avversario di giornata. Per contrastarlo, per limitarlo. E che ha assunto forme diverse nel corso della partita, soprattutto nei segmenti in cui c’era dal alzare l’intensità del gioco offensivo, per sbloccare il risultato.

Questo Conte così diverso, così nuovo, non ha però scacciato quello vecchio. Basta riascoltare (o rileggere) la sua conferenza stampa postpartita: «Bisogna avere pazienza, calma, il gol può arrivare anche al 95esimo. Sono partite molto difficili, se non sei organizzato rischi di prendere ripartenze e rimanere col cerino in mano». Ecco, questo è il manifesto del lavoro che Conte sta portando avanti. Lo spiegheremo meglio andando avanti nell’analisi di Napoli-Lecce, ma il succo è che Conte sa che la sua squadra ha grande qualità offensiva. E allora ha fatto – e sta facendo – in modo che la difesa funzioni, cioè che non subisca gol. Eccolo qui, il vecchio Conte che parte dalla solidità difensiva. Il Conte che resiste, nonostante il nuovo che avanza.

Il ritorno del quadrato magico

Il Lecce è una delle poche squadre di media-bassa classifica che non comincia le sue partite con la difesa a tre che diventa a cinque. Di conseguenza, o forse sarebbe meglio dire agendo per reazione, Conte ha deciso di cambiare assetto e giocatori. Di varare la sua seconda giornata stagionale del turn over, dopo quella in occasione di Napoli-Palermo di Coppa Italia. E allora, esattamente come avvenuto nella gara contro i rosanero, gli azzurri sono andati in campo con David Neres e Ngonge (al posto di Kvara e Politano) e, in fase offensiva, si sono disposti con due trequartisti centrali – i due esterni offensivi che venivano a giocare dentro al campo – alle spalle di due attaccanti, vale a dire Lukaku e McTominay.

Il quadrato magico è ben visibile, sulla sinistra, in entrambi i frame

Basta guardare queste immagini per rivedere il quadrato magico che Conte aveva già disegnato per il match di Coppa Italia. E che, come anticipato tra le righe, era stato pensato per andare a contestare – sia in attacco che in difesa – una squadra che, a differenza di quelle che giocano con tre difensori centrali, non ha un esterno a tutta fascia, ma un terzino e un laterale offensivo.

Per dirla in maniera più facile: l’inserimento di Ngonge al posto di Politano – che nelle ultime partite si era trasformato in un quinto di centrocampo, almeno in fase passiva – è stato possibile perché il pur ottimo Dorgu partiva da una posizione più arretrata rispetto ai quinti di sinistra dell’Empoli o del Monza. E perché Gallo, il titolare di Gotti nello slot di terzino sinistro nonché un giocatore molto bravo a spingere e anche a fare regia laterale, era squalificato. Così si è determinato uno schema difensivo oscillante tra il 4-4-2 e il 4-5-1, a seconda della posizione tenuta da McTominay sulla costruzione del Lecce.

In alto, vediamo il Napoli che aggredisce subito il Lecce con lo schieramento 4-4-2. Sopra, invece, vediamo una fase di gioco in cui gli azzurri difendono col 4-5-1.

Certo, poi Gotti ha recuperato e schierato Banda, un calciatore estremamente veloce, praticamente incontenibile quando riesce a sgasare palla al piede. E infatti è proprio da lì che sono venuti i pericoli più seri, tra quelli corsi dal Napoli. Ma è vero pure che, quando si fanno certe affermazioni, sarebbe giusto verificarle attraverso i numeri.

E allora facciamolo, proviamo a farlo: secondo le statistiche come e quanto ha sofferto davvero il Napoli contro il Lecce? Poco, pochissimo: la squadra giallorossa ha messo insieme solo 2 tiri in porta, entrambi nell’ambito della stessa azione (il calcio d’angolo al minuto 33 su cui sono intervenuti, in maniera decisiva, prima Meret e poi Buongiorno). Le altre 4 conclusioni non respinte dai difensori del Napoli sono arrivate da fuori area o comunque da posizione velleitaria. E infatti Meret non ha dovuto compiere nessun altro intervento, se non la smanacciata sulla punizione di Sansone in pieno recupero.

La difesa bassa del Lecce

In virtù di questi numeri, si può dire che la presunta sofferenza patita dal Napoli sia da considerare, appunto, solamente presunta. O comunque stiamo parlando di una sofferenza che non ha riguardato la fase difensiva della squadra di Conte, se non nella sensazione di precarietà legata al risultato, prima bloccato sullo 0-0 e poi comunque in bilico sull’1-0. A questo punto, però, è inevitabile chiedersi e provare a capire: le mosse offensive di Conte, a partire dal quadrato magico, hanno funzionato? Come si è determinata, alla fine, la vittoria del Napoli?

Per rispondere a queste domande, bisogna partire – di nuovo – dalle parole dette da Conte al termine della partita, in conferenza stampa: «Le squadre vengono a giocare contro il Napoli e restano guardinghe. Abbiamo dominato dall’inizio alla fine, 24 tiri in porta, 16 angoli, 65% possesso palla. Non so cosa posso chiedere di più». È chiaro che si tratti di un’iperbole: al Napoli è certamente mancato qualcosa, in chiave offensiva, per poter segnare prima e per  vincere in modo più agevole – e ne parleremo. Al tempo stesso, però, c’è anche la squadra avversaria. Nel caso di specie, quello del Lecce, stiamo parlando di una squadra che è rimasta bassa e compatta, che ha impostato la partita per serrare tutte le linee. E che ha fatto benissimo entrambe le cose.

Nel frame in alto, vediamo tutti i giocatori del Lecce schiacciati dietro la linea immaginaria della trequarti campo. In mezzo, vediamo il Napoli che attacca con i due difensori centrali, il doble pivote Anguissa-Gilmour e sei giocatori dislocati su tutti il fronte offensivo. Sopra, invece, vediamo i dati del baricentro medio relativi al primo tempo della partita.

Queste immagini e i dati sul baricentro sono eloquenti: dimostrano che il Lecce ha voluto imbottigliare il Napoli. E ci è riuscito. In alcuni momenti, come vedete in uno degli screen appena sopra, Conte ha praticamente fatto traslocare la sua squadra nella trequarti avversaria, fino a determinare un visionario modulo 2-2-6 in fase di possesso. È servito a poco: nel primo tempo, gli azzurri hanno messo insieme solo 5 tiri in porta, e gli unici 2 pericolosi sono stati quelli tentati da Ngonge (la botta a centro area sull’azione del gol annullato a Di Lorenzo e la conclusione a giro da fuori). Nella ripresa, prima del gol di Di Lorenzo, l’unica occasione degna di questo nome è stata quella fallita da Lukaku a pochi metri dalla linea di porta. Ed è arrivata sugli sviluppi di un calcio d’angolo.

Dov’è finito Romelu Lukaku?

Dopo Empoli-Napoli, una settimana fa, nell’ambito di questa rubrica abbiamo scritto che, durante la partita del Castellani, Romelu Lukaku non era riuscito a fare «quei movimenti e quelle letture – gli scatti in profondità, le mezzelune per liberarsi del suo marcatore diretto, i tagli dall’esterno verso l’interno – che avrebbero dato più opzioni ai suoi compagni di squadra». Ecco, abbiamo copincollato la frase – anche se giornalisticamente non è elegante – perché lo stesso concetto vale anche per Napoli-Lecce. Anzi, se guardiamo alla gara di ieri Lukaku è stato ancora più assente, ovverosia non gli è riuscito nemmeno il gioco di sponda: nel primo tempo, l’attaccante belga ha toccato 11 volte la palla, di cui soltanto 4 tra il 17esimo e il duplice fischio finale dell’arbitro Tremolada. E uno di questi tocchi era il calcio d’inizio.

Tutti i palloni giocati da Lukaku nel primo tempo. Quella linea che vedete a destra è l’unico tiro in porta tentato dal centravanti belga.

Questi dati e il grafico che vedete sopra servono a dimostrare quanto Lukaku, in questo momento, sia avulso – per usare un eufemismo – dal gioco della sua squadra. È vero che anche lui ha sofferto la difesa a oltranza del Lecce, e infatti la migliore giocata della sua partita, non a caso viene da dire, è arrivata solo dopo il gol di Di Lorenzo: attacco della profondità, controllo volante e assist delizioso per Raspadori. Il punto, però, è che il centravanti belga dovrebbe dare qualcosa di più in termini di fisicità, di appoggio, proprio e soprattutto in queste gare. Quando il Napoli affronta avversari a cui, per dirla brutalmente, interessa soltanto difendersi.

E invece Lukaku si è mosso poco, si è fatto vedere e servire poco, è come se fosse in evidente regressione rispetto a quanto di buono aveva fatto vedere nelle sue prime gare in maglia azzurra, soprattutto quelle contro Parma e Cagliari. È vero, da allora è passato un po’ di tempo e il Napoli ha cambiato molti vestiti tattici, oggi è una squadra che gioca in maniera più varia, più fluida, come dicevamo all’inizio. La sensazione strisciante, però, è che questa evoluzione non abbia riguardato anche Lukaku, è che il centravanti belga non si sia fatto trascinare (ancora?) dentro questo nuovo Napoli.

Certo, Lukaku sconta ancora un evidente ritardo fisico. E forse il fatto che il sistema di Conte non ruoti più intorno al suo centravanti, quantomeno non solo intorno a lui, è un altro segnale di un cambiamento in atto. Ma gli interrogativi restano: quando riusciremo a vedere un Lukaku realmente in condizione? E soprattutto: Lukaku è ancora il centravanti giusto per una squadra di Conte che però gioca in maniera diversa?

Il 4-2-4 puro

Il fatto che Lukaku sia rimasto in campo e il fatto che il Napoli abbia vinto, in qualche modo, finiscono per rendere meno provocatoria l’ultima domanda. Nel senso: a differenza di Empoli, Conte ha ridisegnato la sua squadra senza rinunciare al centravanti belga. E ha vinto la gara con lui in campo accanto a Raspadori, in quello che potremmo definire come un 4-2-4 puro: doble pivote McTominay-Anguissa, Kvara e Politano (nel frattempo entrati al posto di Neres e Ngonge) esterni e Raspadori accanto a Lukaku.

I quattro attaccanti del Napoli, da sinistra a destra: Kvara, Raspadori, Lukaku, Politano

Il gol è arrivato un attimo dopo i cambi che hanno determinato questo cambio di modulo. E l’angolo decisivo è stato conquistato grazie a un’azione costruita proprio a partire dalla nuova disposizione disegnata da Conte: con tutti i corridoi offensivi occupati e la contemporanea sovrapposizione dei terzini, è “bastato” un inserimento lungo di Anguissa per mandare in tilt la difesa del Lecce. E per creare una potenziale palla gol:

Sembra tutto facile, in realtà non lo è

Dopo il gol, il Napoli non è rinculato: ha continuato ad aggredire alto, a cercare di prendersi degli spazi che il Lecce, inevitabilmente, ha finito per concedere. Poi però Conte è tornato al 4-3-3/4-5-1 con Folorunsho al posto di Lukaku e Raspadori schierato come prima punta. La partita è finita così, con l’ennesimo cambio di abito tattico da parte degli azzurri. Con (altri) tre punti messi in cascina. E con la porta di Meret ancora inviolata, e fanno 6 clean sheet su 9 gare di campionato – di cui 3 e mezza giocate da Caprile, ma il senso non cambia.

Conclusioni

Ecco, in queste ultime tre frasi c’è l’essenza del Napoli di Conte. Ovvero di una squadra che subisce pochissimi gol, che concede un numero basso di occasioni nitide, il cui tecnico sperimenta continuamente sia in chiave difensiva che offensiva. E che alla fine riesce a vincere le partite. Come? Facendo leva sulla sua qualità, sulla sua forza d’urto, sull’evidente superiorità di valori rispetto alla stragrande maggioranza delle avversarie affrontate finora. Anche sulle intuizioni del suo allenatore, naturalmente: il 4-2-2-2 e il 4-2-4 che hanno caratterizzato la sfida col Lecce sono “nati” – cioè sono stati studiati in allenamento e proposti in partita – come nuovi sistemi, dopo che la stagione del Napoli era iniziata nel segno del 3-4-3.

In questo senso, tornando al primo concetto espresso in questa analisi, Conte continua a stupire. A meravigliare. Per adattabilità, per flessibilità, anche per fantasia. Non ha inventato nessun dispositivo assurdo, intendiamoci, ma di certo nessuno si aspettava questa tendenza al trasformismo tattico. È una buona notizia anche per i giocatori: se Neres e Ngonge sono riusciti a esordire da titolari, è perché Conte si è dimostrato aperto a nuove idee. A nuove soluzioni.

E potrebbe non essere finita qui: nel Napoli ci sono dei calciatori, primo tra tutti Raspadori, che finora non sono riusciti a trovare una collocazione. Se Conte, giusto per fare un esempio, volesse/dovesse insistere con il 4-2-4 puro visto contro il Lecce, si aprirebbero dei nuovi scenari anche per lui. In fondo è stato proprio l’allenatore azzurro a dire che «Raspadori lo vedo lì, accanto alla prima punta». Ed è proprio in quel ruolo che Raspadori è subentrato contro il Lecce. Magari è l’inizio dell’ennesima mutazione, chissà. Intanto il Napoli è in testa alla classifica e continua a non subire gol. Come dire: questo nuovo Conte funziona, esattamente come funzionava quello vecchio.

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